Dal mito alla croce, dal pregiudizio alla rivincita: la Flop Parade di questa settimana racconta tre storie di calcio che cambiano direzione come il vento
In pochi giorni, nel calcio, puoi diventare tutto. O niente. Nel calcio la memoria dura meno di una notifica WhatsApp. Oggi sei un fenomeno da imitare, domani un incapace da dimenticare. Questa settimana, nella Flop Parade di Enrico Camelio, finiscono tre storie che raccontano quanto l’umore (e la pazienza) cambino in fretta.
Tra isterismi collettivi, allenatori spaesati e giovani talenti troppo in fretta bollati, ecco chi si è preso il tapiro settimanale.
1) L’ambiente Inter: Inzaghi da idolo a capro espiatorio
Non serve un manuale di psicologia sportiva per capirlo: l’ambiente Inter è nervoso. Anzi, isterico. Fino a tre settimane fa, Simone Inzaghi era l’uomo della provvidenza, l’architetto di un capolavoro tecnico-tattico. Ora, dopo l’eliminazione dalla Coppa Italia e due sconfitte in campionato, improvvisamente è diventato un incapace.

Colpa sua, dicono. Peccato che la rosa sia ridotta all’osso, che molti siano spompati, che le alternative in panchina siano poche e poco affidabili. Ma si sa: quando le cose vanno male, il dito si punta sempre su chi è più in vista. L’ambiente squilibrato di Milano fa il resto: in alto sulle ali dell’entusiasmo, giù a picco appena cambia il vento.
Certo, Inzaghi avrà fatto degli errori, e gli saranno riconosciuti anche dall’Inter. Ma il processo sommario in corso merita pienamente un posto nella Flop Parade.
2) Alessandro Nesta: grande difensore, piccolo allenatore
Ci avevano sperato a Monza, forse anche illusi dal suo passato da leggenda difensiva. Ma la realtà è che Alessandro Nesta in panchina, per ora, continua a deludere.
La sua squadra è brutta. Non “bruttina”, non “normale”: brutta forte. Senza idee, senza grinta, senza quella fame che dovrebbe essere la prima arma di chi deve salvarsi o sorprendere. E il peggio è che, partita dopo partita, non si vede un vero miglioramento. Né caratteriale, né tecnico.
Nesta era un fuoriclasse in campo. Ma allenare è un altro mestiere. E per ora, l’impressione è che stia vivendo più di rendita che di competenza.
3) “Soulé come Iturbe”: ricoveratevi!
C’è una categoria particolare di esperti da social: quelli che giudicano un talento da due amichevoli e tre spezzoni. Matías Soulé lo sa bene: c’era chi lo paragonava a Iturbe, chi lo svalutava a 8-9 milioni, chi diceva che “non sfonderà mai”.
Adesso, Soulé sta prendendosi la scena. A suon di gol, giocate, personalità. Non con dichiarazioni o proclami, ma coi fatti.
E forse, vien da pensare, non era lui a non essere pronto. Forse erano semplicemente gli allenatori che non sapevano valorizzarlo, incasellarlo, dargli il giusto spazio.
Nel dubbio, chi sparava sentenze affrettate ora è molto più silenzioso. Strano, no?
E domani? Chi sarà il prossimo? Tre storie, tre cadute, tre lezioni. Il calcio corre veloce e cambia faccia ogni settimana. Ma la Flop Parade resta sempre lì, a ricordare che, prima di saltare sul carro o di dare addosso a qualcuno, bisognerebbe aspettare almeno il tempo di un campionato.