Non è solo una questione di tre punti: è una vittoria che vale molto di più. Ed è tutta firmata Igor Tudor
Ci sono partite che non si pesano con i punti. Contano anche quelli, soprattutto in questo momento della stagione, ma c’è anche qualcosa che va ben oltre la classifica, oltre la corsa Champions, oltre persino quella brutta ansia da fine stagione che a Torino ormai è diventata compagna di viaggio.
La vittoria della Juventus a Lecce è una di quelle lì. Tre punti? Certo. Fondamentali. Ma dentro quei novanta minuti c’è molto di più. C’è un patrimonio tecnico che torna a respirare. C’è una squadra che smette, almeno per un attimo, di sembrare un investimento andato a male. C’è Igor Tudor, soprattutto. Uno che magari non farà poesia, ma di conti se ne intende parecchio.
Lo si è capito subito, in apertura, quando è arrivato il gol di Teun Koopmeiners. Un gol che ha fatto rumore, sì, ma non tanto per la prodezza in sé — bella, intendiamoci — quanto per tutto quello che si portava dietro. Perché Koopmeiners, per mesi, era stato un po’ l’emblema della Juventus che non funzionava.
Pagato oltre 60 milioni la scorsa estate, arrivato come uomo in grado di fare la differenza, era finito lentamente a spegnersi. Troppo lontano dalla porta, troppo sacrificato, troppo fuori fase. In tanti avevano già iniziato a chiedersi se non fosse stato un clamoroso abbaglio portarlo a Torino.
E invece Tudor ha fatto una cosa semplice, che a volte pare rivoluzionaria: lo ha rimesso vicino a Vlahovic, gli ha ridato palloni, fiducia, presenza. E Teun ha risposto da giocatore vero. Da investimento che torna investimento. Da risorsa che non è affatto persa.
Yildiz e Vlahovic, valori che risalgono: la Juve sorride
E lo stesso discorso vale, in fondo, per Kenan Yildiz. Che pure male non era andato, eh. Anzi, stagione pazzesca per un ragazzo di neppure vent’anni, capace di prendere sulle spalle una Juve spesso sgonfia di idee.
Ma nelle ultime settimane anche lui sembrava un po’ scolorito. Di quei talenti che si sa che valgono, ma che devono continuare a brillare per restare nella testa (e nei taccuini) dei grandi club europei.
Due partite con Tudor e Yildiz è tornato ad accendersi. Ha segnato, ha inciso, ha ricordato a tutti perché in giro qualcuno è disposto a mettere sul tavolo 70 milioni per lui. Magari, se continua così, anche qualcosa in più, anche se la Juventus sembra voler fare di tutto per preservare il suo talentino con la maglia numero 10.
E poi c’è Dusan Vlahovic. Qui, più che un investimento da recuperare, sembrava quasi un fantasma da esorcizzare. La gestione Motta lo aveva trasformato in un centravanti senza gol, senza palloni, senza gioia. In una parola: senza valore, o comunque dal valore schiantato. A Lecce non ha segnato. Ma ha servito due palloni perfetti per i compagni. Due gesti che raccontano molto più di tante esultanze forzate.
È ancora presto per dire che sia tornato quello dei tempi migliori. Ma almeno è tornato dentro la squadra. Dentro la partita. Dentro se stesso. Sì, Juve-Lecce è stata importante, una sfida da tre punti. Ma chi conosce il calcio sa che è stata molto di più. È stata una vittoria da 200 milioni. E passa pure la paura.