Il successo di Monaco di Baviera ha acceso l’entusiasmo nerazzurro. Ma c’è un dettaglio nascosto che spiega molto più del risultato

C’è qualcosa che cambia quando vinci una partita del genere. A Monaco non ci si va in gita, e l’Inter lo sapeva benissimo. Ma da lì a tornare a casa con una vittoria che pesa come un macigno – e che adesso rende il ritorno a San Siro un vero evento – ce ne passa.
Eppure è successo. È successo perché questa squadra ha qualcosa che non si legge nella classifica. Ha il controllo. Ha la convinzione. Ha un progetto che va ben oltre gli undici titolari.
E non serve nemmeno dirlo: no, non è già fatta. Il Bayern è ancora lì, e guai a pensare che la semifinale sia già in tasca. Ma intanto, un messaggio è arrivato forte e chiaro. E non solo al resto d’Europa. Anche ai giocatori stessi, ai tifosi, alla società. Quel successo ha risvegliato un pensiero che da qualche tempo girava sottotraccia: e se fosse davvero l’anno buono?
Un pensiero che si fa largo senza chiedere permesso, mentre il calendario si riempie e i trofei – potenzialmente quattro, se consideriamo il mondiale per club – diventano più vicini che mai. Un pensiero che ha un nome ben preciso: profondità. Perché è quello il vero lusso, il vero tesoro nascosto.
Da Frattesi a Carlos Augusto: l’oro di Simone Inzaghi
Prendiamo la stupenda notte tedesca, dove hanno brillato i gioielli nerazzurri più brillanti: Lautaro, Barella, Bastoni. Ma il gol decisivo lo ha segnato Davide Frattesi, uno che entra a partita in corso e molto spesso la spacca in due. E l’assist? Quello è di Carlos Augusto, rivelazione assoluta di questa stagione, che ha fatto asfaltato la fascia sinistra in assenza di Di Marco. Non due comparsate fortunate: due dimostrazioni di forza.

Ed è lì che la narrazione cambia. Perché questi non sono rincalzi qualunque. Sono giocatori da 25-30-35 milioni. Gente che altrove partirebbe titolare fisso e che Inzaghi tiene come carte vincenti da giocarsi nel momento giusto. E se Frattesi e Carlos sono le stelle della panchina oltre ad essere ambiti da diverse squadre italiane e straniere, il cast di supporto non è da meno.
C’è Bisseck, che è diventato co-titolare e uomo mercato dopo aver anche ricevuto la chiamata della nazionale tedesca. C’è Darmian, l’uomo ovunque, che si adatta, combatte, salva e riparte come se il tempo non passasse mai. De Vrij, Arnautovic, Asllani, e Zielinski, attualmente infortunato: tutti con minuti meno glamour, ma con un peso specifico enorme.
Se ci si ferma un attimo a fare i conti, quella che si chiama comunemente “panchina” vale ben oltre i 100 milioni di euro. Ed è tutto lì, pronto a intervenire al primo bisogno. In un calcio dove si gioca ogni tre giorni, è questa la vera differenza tra chi punta a sopravvivere e chi sogna di vincere tutto.
Certo, non bastano i numeri per alzare i trofei. Servono equilibrio, fame, lucidità nei momenti chiave. Ma senza una rosa così profonda, l’idea stessa del Triplete resterebbe una suggestione buona per i nostalgici del 2010. Invece qui si parla di possibilità concrete. Di un’Inter che non vive sugli spunti dei singoli, ma su un sistema che funziona come un’orchestra: anche chi sta seduto ha uno spartito da suonare. E a Monaco, la musica è stata perfetta.