Gianluca Mancini tra scivolate, metamorfosi e risse mancate: “Uno voleva mettermi sotto, ora mi stima”
Certe cose, più che succedere in uno spogliatoio, sembrano uscite da un film di Scorsese. Tipo quando Gianluca Mancini si è trovato faccia a faccia con un collaboratore appena arrivato alla Roma con Daniele De Rossi.
“Mi salutò in modo strano – ha raccontato Mancini – dopo un paio di giorni mi disse che non mi sopportava. Addirittura mi disse ‘Guarda, io non ti sopporto a te. L’anno scorso se ti vedevo per Roma ti mettevo sotto con la macchina. Poi, una settimana dopo, si scusò: aveva cambiato completamente idea su di me”.
È l’aneddoto più surreale emerso da un’intervista che Mancini ha rilasciato a TvPlay ad Enrico Camelio ed Emiliano Viviano che l’hanno raggiunto a Trigoria, ma anche uno dei più rivelatori. Perché racconta quanto sia cambiato oggi il “vecchio” Mancini. Quello che in campo si trasformava, sbraitava, si faceva espellere. Ora, invece, racconta tutto con ironia e autoconsapevolezza. “Sto cercando di migliorare”.
A Ranieri, suo attuale allenatore, ha strappato una battuta che dice molto più di mille riunioni tattiche: “Quando mi vedeva da avversario mi odiava”. Un modo scherzoso per riconoscere che in passato Gianluca non era proprio il compagno ideale per una partita tranquilla. “Prendevo troppi cartellini, proteste inutili. Mi facevo del male da solo”.
Il punto di svolta è arrivato con De Rossi. È stato lui ad avviare un processo di maturazione che oggi porta Mancini a gestire con lucidità anche i rapporti con gli arbitri. “Ora è diverso. Non prendo troppe espulsioni, perché di entrate brutte non ne faccio. Con Orsato, in Coppa Italia, sbagliai tanto. Presi tre giornate, ma chiesi scusa”.
“Sono grato a Petrachi e Spalletti, Hummels è impressionante”: Mancini si racconta
Tra giochisti e gestori, Mancini si dichiara neutrale. “Io eseguo, anche se mi chiedono una testata al muro. Con De Rossi facevamo 40 minuti di uscite dal basso, con Mourinho la fase difensiva era maniacale. Ogni allenatore ha la sua idea”. E se dovesse cambiare Paese? “L’Inghilterra sarebbe il mio sogno. Ma in Italia, ogni domenica all’Olimpico, sembra una finale”.
Mancini oggi è un leader della Roma ed è stato più volte un uomo mercato, e si trova perfettamente a suo agio nella difesa a tre. “Con Fonseca feci il centrocampista, ma era un’emergenza. Ora non sarei più capace. Il ruolo del braccetto mi viene naturale”.
Anche grazie all’aiuto di un ormai quasi “ex” come Mats Hummels, che l’ha impressionato non solo per la carriera, ma per come affronta ancora le partite. “Contro Kulusevski ha fatto una scivolata perfetta e si è rialzato come nulla fosse. Gli ho detto che era pazzo. A me avrebbero dato sette rossi!”
E a proposito di cartellini: Mancini ha preso le difese del tedesco anche per l’espulsione a Bilbao, che ritiene ingiusta. “Per me era giallo. Il problema è che se un attaccante sbaglia un gol, ha altre occasioni. Il difensore invece rischia grosso a ogni intervento”.
Parole di stima anche per Luciano Spalletti, che l’ha portato all’Europeo: “Gli sono grato. Se non arriverà la convocazione, farò il tifo da casa”. Nessuna lamentela, solo la consapevolezza di far parte di un gioco più grande. Come quando parla della panchina: “Giusto arrabbiarsi, ma se l’allenatore decide, si accetta. Non esiste l’io, esiste il noi”. Questa l’intervista completa su TvPlay.
E a proposito di gratitudine, abbiamo anche un retroscena che Mancini ha raccontato a microfoni spenti al nostro Enrico Camelio e che riguarda quello che è un po’ il suo mentore: “Fu Petrachi a portarmi a Roma, devo dirgli grazie per aver creduto in me. Gli sono molto affezionato e ne ho un grande ricordo, è un grande direttore sportivo ma soprattutto una persona speciale, che mette il lato umano sopra ogni cosa”.