Un allenatore, 30 milioni di euro e un finale di stagione che può riscrivere il destino della Juventus: ecco uno dei compiti di Igor Tudor
C’è un momento, in ogni stagione sbandata, in cui la linea tra il disastro e la resurrezione si fa sottile come carta velina. Per la Juventus quel momento è adesso.
Non c’è più tempo per i “vedremo”, per i piani a lungo termine, per le mezze misure. C’è solo un finale di stagione da affrontare con cuore in mano e calcolatrice alla mano, perché stavolta – più che in passato – ogni punto pesa anche fuori dal campo.
E allora sì, si parla (e si parlerà) di Champions League, perché tornare nell’Europa che conta è quasi una condizione di sopravvivenza per un club con una struttura di costi da grande.
Ma rimettere in sesto i conti della Juve significa anche rigenerare chi era finito all’angolo. C’è un giocatore, più di altri, che rischiava di diventare un problema. Parliamo di uno che fino a non molto tempo fa era considerato un top assoluto. Uno che, appena sbarcato a Torino, faceva venire l’acquolina in bocca ai tifosi e agli osservatori internazionali.
Poi è arrivata la discesa. Lenta, silenziosa, a tratti inspiegabile. Fino al punto di rottura: panchina. Umiliazione. E uno stipendio da 12 milioni l’anno che incombe come un macigno.
Ciò che andrebbe indagato sono i motivi per cui la parabola personale di Dusan Vlahovic è diventata un problema collettivo. Non stiamo parlando solo di gol mancati o di partite sbagliate: qui c’è in ballo un asset da decine di milioni di euro che rischiava di trasformarsi in un peso morto. Il classico giocatore difficile da vendere, difficile da rilanciare, impossibile da giustificare a bilancio.
Ecco perché la scelta del nuovo allenatore ha avuto, fin da subito, un peso specifico molto più grande di quanto si volesse far credere. Sì, serviva una scossa. Sì, bisognava riportare ordine nello spogliatoio. Ma sotto sotto, c’era anche un’altra missione: recuperare quel patrimonio tecnico – ed economico – che stava andando in malora.
Non è un caso che appena è arrivato Tudor c’erano volti più distesi e sorridenti e uno su tutti era proprio lui: Dusan Vlahovic. Colui che, con Thiago Motta, era diventato l’epurato per eccellenza. Umiliato, annichilito, lasciato sistematicamente in panchina, peraltro per valorizzare un prestito secco, un calciatore di un’altra squadra, come Kolo Muani. Che finché segnava tutto ok, ma poi a un certo punto era diventata davvero una scelta incomprensibile.
Ora tocca a Tudor, che da sempre lo considera perfetto per il suo calcio verticale e diretto. Assist alla prima, i gol arriveranno, ma adesso tocca al campo. Altre otto partite, un’occasione per trasformare un potenziale esubero in un attaccante appetibile.
Basta poco – si fa per dire – per riportare Vlahovic a essere un nome credibile sul mercato: una manciata di gol, qualche prestazione da riferimento, la sensazione che non sia finita lì. Tornare a parlare di 40 o addirittura 50 milioni di euro, invece che dei 20 striminziti (per non fare minusvalenza) che rischiava di valere Vlahovic se fosse rimasto ancora nelle grinfie di Thiago Motta.
Ecco perché Igor Tudor può diventare, paradossalmente, “l’uomo da 30 milioni”. Perché la sua missione va oltre il quarto posto. È una corsa contro il tempo per rimettere a lucido un gioiello opacizzato, per ridare valore a un investimento pesantissimo, per far sì che nessuno si trovi a dire: “Vlahovic? Peccato, era forte…”.
Nel calcio, si sa, le cose cambiano in fretta. Ma cambiare nel momento giusto può fare tutta la differenza del mondo. E a giudicare dall’impatto del nuovo allenatore alla Continassa, forse stavolta la Juve ha deciso di muoversi prima che fosse davvero troppo tardi.
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