Polemiche su polemiche: gli arbitri ancora nella bufera per gli errori degli arbitri e del VAR. Ma perché non c’è ancora il challenge?
Il calcio italiano sembra non trovare pace. Ogni weekend porta con sé nuove polemiche arbitrali, alimentate da episodi sempre più difficili da digerire. Dall’espulsione di Tomori, con quel rosso sventolato dopo un netto fuorigioco, fino al caso clamoroso della palla fuori di 20 centimetri in Inter-Fiorentina, rimasta incredibilmente senza intervento del VAR, il caos regna sovrano.
Il culmine? L’alterco furioso fra le panchine, un segnale evidente che la tensione sta sfuggendo di mano. Ed ecco che una soluzione sembra farsi largo: il VAR a chiamata, o challenge, come nel tennis o nel football americano. Con buona pace di quelli che – sì esistono ancora! – sono ancora contrari all’utilizzo della tecnologia.
Sì, sembra fantascienza, ma l’Italia potrebbe davvero essere l’apripista di questa innovazione. Eppure, nonostante le pressioni di allenatori, dirigenti e tifosi, qualcosa continua a frenare l’introduzione di questo strumento. Perché? Cosa ci blocca davvero?
L’idea è semplice e affascinante. Ogni squadra avrebbe a disposizione una o due chiamate per partita, da utilizzare per richiedere la revisione di episodi controversi: rigori dubbi, gol contestati, falli da espulsione: l’unica situazione nella quale interverrebbe a prescindere sarebbe il fuorigioco semiautomatico, là dove quindi il criterio è oggettivo.
Ma come funziona il Challenge? Se l’arbitro, dopo aver rivisto l’azione, cambia la decisione, la squadra mantiene la possibilità di una nuova chiamata. Se invece conferma la scelta iniziale, il diritto di challenge viene perso.
Cosa frena l’intervento del challenge? C’è un motivo su tutti
Facile, no? E allora perché non ci si butta a capofitto in questa direzione? Le polemiche si ridurrebbero e le squadre avrebbero la possibilità di correggere gli errori arbitrali più eclatanti. Ma come spesso accade, la teoria è più semplice della pratica.
Il problema principale riguarda il tempo di gioco e il rischio di spezzettare il ritmo della partita. Ogni chiamata potrebbe allungare ulteriormente le già infinite pause per le revisioni al VAR.
Chi decide quando fermare il gioco? E se una squadra usasse la chiamata per guadagnare tempo o spezzare il ritmo agli avversari? Immaginate una squadra in vantaggio che, a dieci minuti dalla fine, richiede una revisione su un fallo laterale innocuo, giusto per togliere ossigeno agli avversari. Questo probabilmente è lo scoglio principale o comunque uno dei principali, uno di quelli che suscita più perplessità.
L’altra grande incognita riguarda le decisioni soggettive. Non tutti gli episodi sono bianchi o neri. Anche con il VAR, certe situazioni restano aperte all’interpretazione dell’arbitro. Dare alle squadre il potere di scegliere quando far intervenire il VAR potrebbe generare nuove polemiche, invece di ridurle.
Eppure, nonostante le perplessità, il VAR a chiamata potrebbe presto essere realtà, e proprio in Serie A. La FIGC sta valutando l’idea, consapevole che qualcosa deve cambiare. Dopo anni di caos e confusione, introdurre il challenge sarebbe un segnale di apertura verso una gestione più moderna e trasparente delle partite.
In fondo, nel calcio come nella vita, ogni innovazione porta con sé dubbi e resistenze. Ma dopo episodi come quelli visti di recente, il rischio più grande sarebbe continuare a fare finta di niente. Forse è arrivato il momento di provare, di sperimentare, di adattarsi ai tempi. Perché fermarsi, stavolta, potrebbe costarci molto più caro di qualche pausa di troppo.