Perché il “rigurgito anti VARista” di queste ultime settimane (e non solo) è da rifuggire come la peste bubbonica e cosa invece sarebbe più utile fare
Ecco, ci risiamo. Ogni tanto rispunta, come i tormentoni estivi che nessuno vuole più sentire: il rigurgito anti VAR. “Il VAR ha peggiorato il calcio” ha tuonato Gian Piero Gasperini qualche giorno fa, furibondo come sempre quando si parla di arbitri.
Massimo Mauro, ormai abbonato al ruolo di opinionista anti-tecnologia, ripete a ogni diretta TV che sarebbe meglio tornare ai tempi del pallottoliere e delle decisioni prese a occhio nudo. Insomma, un bel déjà-vu di recriminazioni nostalgiche che fanno tanto “si stava meglio quando si stava peggio”.
A questo punto, però, viene spontaneo chiedersi: come definirebbe Ugo Fantozzi questa ondata di indignazione? Sì, lo sappiamo, non serve nemmeno dirlo. Il termine esatto lo conosciamo tutti, e no, non è “Corazzata Potemkin”. Ma calza a pennello anche per questa crociata contro una delle poche innovazioni che hanno davvero migliorato il calcio, altroché rovinarlo!
Capiamoci: le rimostranze di gente come Cesc Fabregas e Davide Vagnati sono assolutamente legittime. Non contestano il VAR in sé, ma un singolo episodio in cui l’uomo dietro al monitor ha dormito alla grande. Fabregas, ad esempio, non ha digerito il mancato rigore (che pure è opinabile, ma vabbè) per il suo Como contro la Juventus.
Vagnati invece si è indignato per la trattenuta su Sanabria in Torino-Genoa, con Feliciani che non è stato richiamato nemmeno per una sbirciata al monitor.
Questo è il tipo di polemica che ha senso: un caso specifico, un errore umano da correggere. Ci sta, fa parte del gioco. Ma quando arrivano i Gasperini e i Mauro di turno a dire che il VAR ha peggiorato il calcio, beh, lì scatta la risata. È come dire che l’automobile ha peggiorato la qualità dei trasporti perché ci sono più incidenti, e allora meglio tornare a piedi.
Che il VAR non sia perfetto è ovvio. Nessuno lo sostiene. Ma da qui a definirlo inutile o nocivo, ce ne corre. L’errore umano è inevitabile, e fa parte di ogni processo in cui uomo e macchina lavorano insieme. Non è una bestemmia, è la realtà. La soluzione non è abolire il VAR, ma lavorare per ridurre al minimo l’incidenza di questi errori, come si fa in qualsiasi altro ambito.
È qui che si vede la differenza tra chi vuole davvero migliorare il sistema, magari inserendo il tanto agognato Challenge o “VAR a chiamata”, e chi invece rimpiange un calcio di provincia, con gli arbitri ragazzini e le partite che si decidevano sulla fiducia o a colpi di “se hai il coraggio, vieni a dirlo negli spogliatoi”.
Che facciamo allora, torniamo ai tempi in cui un gol fantasma decideva una finale mondiale? A chi sostiene che “si stava meglio prima”, suggeriamo una bella gita amarcord sui campetti di periferia. Lì non ci sono monitor, non c’è fuorigioco semi-automatico e l’arbitro ventenne si arrangia con quel che ha, tra urla, minacce e il rischio concreto di essere rincorso nel parcheggio. Forse, dopo un paio di partite, qualcuno rivaluterebbe la bellezza del VAR.
Chi invece vuole costruire qualcosa di meglio parte da critiche costruttive. Uniformità delle decisioni, tempi di revisione più rapidi, chiarezza nelle regole, magari portare avanti l’esperimento di spiegare le decisioni in tempo reale: questi sono gli obiettivi da perseguire. Non buttiamo via tutto solo perché c’è ancora da perfezionare il sistema.
Il punto non è se il VAR debba esistere o meno. Il VAR è qui per restare, e meno male. Il vero problema è chi lo utilizza male. È il solito dilemma: non è l’automobile il problema, ma chi mentre guida guarda il cellulare o pensa ai fatti suoi.
Quindi, caro lettore, la prossima volta che senti un nostalgico del “bel calcio di una volta” tuonare contro la tecnologia, fai un bel respiro e sorridi. Perché, alla fine, sappiamo tutti cosa direbbe Fantozzi davanti a questa polemica. E fidati, lo direbbe con il suo solito, meraviglioso slancio.
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