Roberto Mancini lo chiamò in Nazionale che era ancora praticamente un bambino: adesso sta già vivendo una fase molto delicata
“Quando compilo la lista, metto prima lui e poi tutti gli altri”. Parole che pesano, soprattutto se a pronunciarle è Roberto Mancini, uno che di talento ne ha visto tanto e che ha sempre avuto il coraggio di puntare sui giovani.
Erano i giorni in cui l’Italia cercava disperatamente un volto nuovo, un talento puro che potesse accendere la speranza di un calcio in cerca di identità. Quell’affermazione del CT arrivò dopo la convocazione a soli 16 anni e 8 mesi, un’età in cui molti ragazzi sognano ancora di esordire in Primavera, mentre Simone Pafundi si ritrovava già in Nazionale maggiore.
Oggi però, quel talento cristallino è a un bivio. Ha compiuto 18 anni da poco, è ancora un ragazzino, ma la sua carriera sembra essersi improvvisamente complicata. L’Udinese aveva mandato Simone Pafundi in prestito al Losanna lo scorso gennaio, con l’idea di fargli fare esperienza in un contesto meno pressante. Il piano, però, non ha funzionato: appena due presenze in questa stagione, poi il rientro a casa. E così Pafundi si ritrova di nuovo alla casella di partenza, tra l’Under 19 e l’Under 20, in attesa di capire quale direzione prenderà la sua carriera.
Tecnicamente, nessuno lo mette in dubbio: Pafundi è uno di quei giocatori che in Italia vediamo sempre più di rado. Un numero 10 vecchio stampo, con un piede sinistro educato, una visione di gioco superiore e una capacità naturale di far sembrare semplici le cose difficili. Non è un caso che Mancini avesse puntato così forte su di lui, riconoscendogli quella creatività fuori dagli schemi che manca ormai da anni al nostro calcio.
Ma il talento, da solo, non basta. Serve un percorso lineare, serve tempo e soprattutto servono scelte giuste. Il prestito al Losanna doveva essere una tappa di crescita, ma si è trasformato in un boomerang. Una squadra che non ha creduto davvero in lui, poca fiducia e pochissimo spazio. Risultato? Un anno quasi perso, un rischio che per un giovane talento può pesare come un macigno.
Guardando Pafundi giocare, la qualità è evidente, ma altrettanto evidente è la sua fragilità. A livello fisico, il ragazzo appare ancora un po’ “leggerino”, non pronto per i ritmi e l’intensità del nostro calcio, soprattutto in Serie A. Questa è la principale critica che gli viene mossa: troppo giovane, troppo piccolo, troppo acerbo per competere con i professionisti.
Il primo sliding doors di Pafundi: come Yamal o come Sarno?
Eppure, basta guardare all’Europa per capire che non è una giustificazione valida. Lamine Yamal, classe 2007, sta brillando nel Barcellona. Giocatori come Jude Bellingham o Musiala sono diventati protagonisti a 17-18 anni. All’estero, se hai talento, giochi. Punto. In Italia, invece, tendiamo ad aspettare troppo, a proteggerli fino allo sfinimento, rischiando di bruciare anni fondamentali per la crescita.
Pafundi è ancora un ragazzo, certo, ma a 18 anni non si può più aspettare in eterno. Servono scelte coraggiose: una squadra che lo metta al centro del progetto, che valorizzi le sue caratteristiche e che gli dia finalmente lo spazio per dimostrare il suo valore.
La responsabilità, adesso, è tutta dell’Udinese. La società friulana è famosa per il suo lavoro sui giovani, ma in questo caso il margine d’errore è zero. Pafundi è un patrimonio del calcio italiano e ha bisogno di un contesto che sappia valorizzarlo. Forse un prestito in Serie B o addirittura in Serie C potrebbe essere la soluzione migliore: un campionato in cui possa giocare con continuità, crescere fisicamente e affinare il suo talento.
L’idea di vederlo in una squadra di provincia, magari guidato da un allenatore che sappia esaltare la fantasia, è intrigante. Perché il calcio italiano ha bisogno di giocatori come lui, ha bisogno di numeri 10 che sappiano accendere la luce quando tutto sembra spento.
Simone Pafundi ha davanti a sé un bivio: può diventare il “nuovo Yamal”, un talento di livello europeo, o rischiare di perdersi come tanti altri prima di lui, come ad esempio Vincenzino Sarno, il piccolo talento che il Torino acquistò nel 1999 a soli 10 anni ma poi non ha mai sfondato, perdendosi nei meandri del calcio minore. Oggi, a 36 anni, gioca in Serie D, nel Pompei. A 18 anni si è ancora ragazzini, è vero, ma in Europa ci sono tanti ragazzi dell’età di Pafundi che giocano già stabilmente in prima squadra.
Il talento c’è, la visione di gioco pure. Ora serve solo fiducia e un percorso chiaro, fatto di scelte coraggiose e minuti giocati. Perché un talento come Pafundi non può rimanere chiuso in un cassetto. La domanda è semplice: chi avrà il coraggio di dargli finalmente la sua occasione?