Tante critiche per questa nuova versione della Supercoppa. Eppure, per il calcio italiano, potrebbe andare bene così.
Le immagini della prima semifinale della Supercoppa italiana sono entrate negli archivi. Il Napoli supera la Fiorentina grazie alla rete di Simeone e alla doppietta di Zerbin e adesso attende di conoscere la sfidante che uscirà dall’altra semifinale tra Inter e Lazio.
Già solo il parlare di semifinali ha fatto storcere il naso a più di un tifoso. La Supercoppa, competizione relativamente recente nel panorama sportivo italiano, era solitamente la coppa destinata alla vincitrice tra le vincitrici. Chi conquista lo Scudetto sfida chi alza la Coppa Italia. All’inizio in casa della vincitrice del campionato poi, con gli anni, è iniziata l’abitudine di giocare all’estero. Prima negli Stati Uniti, poi in Cina, poi in Qatar e adesso in Arabia Saudita. Per internazionalizzare il marchio dicono gli uomini incravattati della Lega Calcio, per vil denaro rispondono i tifosi con sciarpa colorata che sono costretti a guardarla in tv.
Quest’anno poi, per scimmiottare il formato della Liga, si è addirittura passati a stravolgere la formula. Da una sfida secca tra campioni di qualcosa a una sfida aperta anche ai piazzati. E così, accanto al Napoli scudettato e all’Inter con la coccarda tricolore, arrivano anche le medaglie d’argento in campionato e coppa, ossia Lazio e Fiorentina. Invece di una ben tre partite. In Arabia Saudita. Per internazionalizzare il marchio, se indossate una grigia cravatta, per vil denaro, se invece avete una sciarpa colorata al collo.
Supercoppa in Arabia Saudita: è davvero un affare per il calcio italiano?
La foto dello stadio semivuoto per assistere a Napoli-Fiorentina ha subito fatto il giro del web. Difficilmente le immagini di Inter-Lazio saranno tanto diverse. Forse per la finalissima le cose potrebbero leggermente migliorare. La verità è però che queste partite non scaldano il cuore al tifo saudita. Addirittura molti tifosi del posto si dice siano rimasti interdetti nello scoprire che a disputare questo torneo non c’erano il Milan e la Juventus, ma dovevano accontentarsi di Fiorentina e Lazio. Merito sportivo, ma evidentemente in Arabia si aspettavano altro.
Lasciamo però un attimo da parte i patemi dei tifosi sauditi e pensiamo ai tifosi italiani che, di certo, hanno bocciato senza appello questo format e la decisione di giocare all’estero. Eppure, volendo fare un’operazione estremamente cinica, se togliamo dall’equazione i tifosi (e fa specie dire una cosa del genere quando sappiamo benissimo tutti che senza i tifosi il calcio non ha senso d’esistere) la scelta del format e del luogo è una mossa estremamente razionale da parte della torre d’avorio del pallone tricolore. Anche se all’apparenza potrebbe sembrare un flop.
L’Arabia Saudita è, l’abbiamo visto con la Saudi League e con il Mondiale 2034, il mercato calcistico maggiormente emergente adesso. Bisogna presidiarlo esattamente come nel 1993 bisognava giocare Milan-Torino a Washington o nel 2014 Juve-Napoli a Doha. Perché il baricentro del pallone in questi anni si sposterà verso Riad. E verso i capitali, abbiamo visto che non sono pochi, del fondo PIF. La Liga al momento la fa da padrona in quella regione. Real e Barcellona monopolizzano, anche più dei club di Premier, l’etere pallonaro dell’Arabia Saudita.
La Serie A però prova a ritagliarsi il suo spazio. E tra spalti semivuoti e striscioni decisamente ‘cringe’ il gioco vale forse davvero la candela. Perché per le prospettive economiche del nostro pallone è fondamentale che i nostri brand calcistici, soprattutto se al di fuori delle più note Inter, Milan e Juventus, inizino a penetrare quei mercato. Perché è il primo passo per un possibile percorso inverso di sponsor e capitali. E un calcio bulimico e costantemente alla canna del gas come il nostro non può farne a meno. Pure se questo significa sacrificare il tifo, il senso stesso di una competizione e del calcio. Fa male dirlo, fa male scriverlo: forse domani faremo un pezzo sul flop di pubblico di Inter-Lazio, di sicuro quel flop di pubblico, piaccia o meno, ha una sua logica in questo pazzo mondo, sempre più dominato dal denaro, che chiamiamo pallone.