Nella settimana in cui in Europa torna prepotente il tema della SuperLega, negli USA si lotta per salvaguardare il merito sportivo.
Negli ultimi anni, facciamo anche decenni, il calcio europeo ha subito sempre più un processo di mutazione. Il ritorno sul palcoscenico della questione SuperLega, con la storica sentenza che potrebbe stravolgere, da qui a qualche anno il calcio europeo, rimette al centro una riflessione: il calcio, ma diciamo anche lo sport, del Vecchio Continente, si sta sempre più americanizzando?
D’altronde lo vediamo anche con il basket, vedasi l’Eurolega, o la Formula 1. E nel calcio con la SuperLega, soprattutto nella sua idea originale, il nuovo Mondiale per Club, la nuova Champions League. Secondo diversi opinionisti, tutte queste riforme rispondono ad un tentativo di seguire come stella polare una concezione sportiva che storicamente è sempre stata appannaggio degli Stati Uniti: la competizione subordinata allo spettacolo.
Tornei chiusi, limitati magari alle grandi città, come paventato anche da Aurelio De Laurentiis in una recente intervista. Una concezione che in un certo senso snatura lo sport come è sempre stato concepito in Europa: si, uno spettacolo, ma con una forte carica sociale e identitaria che ci ricorda che una maglia non è solo merchandising di una franchigia (ossia di un market), ma anche una storia e un legame con il luogo in cui quella maglia è radicata.
In Europa stiamo diventando più realisti del Re.
La cosa paradossale è però che, mentre il calcio europeo ricorreva e rincorre il sogno di una sorta di NBA del pallone, nella patria delle franchigie e dei market negli ultimi anni si sta verificando il processo opposto. Almeno per quanto riguarda il tifo e l’opinione pubblica che accompagna il soccer. Il calcio maschile negli Stati Uniti negli ultimi anni sta raggiungendo una grandissima popolarità. La MLS, seppur non a livello delle big four (NBA, MLB, NFL e NHL) fa ormai numeri importanti.
Ciò è dovuto anche ad un grande cambiamento demografico in atto negli Stati Uniti, con la componente dei latinos, i cui ‘consumi sportivi’ sono in linea con quelli dei loro cugini al di là del Rio Grande, sempre più numerosa. Ed anche il mondo del calcio a stelle e strisce si adegua. Basta vedere come negli USA negli ultimi anni il tifo abbia cercato di riprendere, anche se con risultati che spesso strappano un sorriso, stili e coreografie più ‘europee’. Gli yankee che mangiano hot dog e esultano per le kiss cam ci sono anche negli stadi del soccer. Ma ci sono anche i primi abbozzi di curve e tifo organizzato.
Ed anche tutto ciò che ruota attorno al calcio, da addetti ai lavori ad opinionisti, guarda con ammirazione a quello che è (e che paradossalmente rischia di essere un che fu) il calcio europeo. Ne è dimostrazione la recente polemica nata attorno al tentativo della MLS di sminuire l’importanza della US Cup. E di come il mondo del socccer sembra aver fatto quadrato in difesa dell’unica competizione meritocratica attualmente in essere nel calcio a stelle e strisce.
La USFF bacchetta la MLS. E adesso si mette in discussione anche il sistema chiuso
Piccola disamina: il mondo sportivo americano, detto a grandi linee, si basa su un sistema totalmente diverso da quello europeo. Non esistono promozioni e retrocessioni. Le leghe sono chiuse e le squadre non sono club sportivi, ma franchigie che possono anche trasferirsi qualora il market su cui hanno i diritti risulti non più economicamente fruttuoso. Vi ricorda qualcosa? Qualche tentativo di scopiazzata?
Su queste basi si regge la MLS, la principale lega calcistica nordamericana. E non è un caso il termine nordamericano in luogo di statunitense. Perché alla MLS partecipano anche squadre canadesi. E l’obiettivo, nemmeno tanto velato, è quello di aprire al Messico (il fattore latinos che torna). Con queste premesse è stata creata la Leagues Cup vinta quest’anno dall’Inter Miami di Messi. Il problema è che questa competizione, che mette di fronte squadre statunitensi e messicane, ha affollato il calendario. E dovendo tagliare da qualche parte, alla MLS è venuto in mente di sacrificare la US Cup.
La MLS aveva intenzione di rendere la più antica competizione calcistica del Nord America, nonché l’unica realmente meritocratica (visto che partecipano anche squadre delle leghe minori statunitensi) un torneo dove far giocare le proprie riserve. Incredibilmente la USSF, che raramente agisce in contrasto con la MLS, si è opposta. E dalla sua parte si è schiarata buona parte dell’opinione pubblica del soccer. e del tifo
La US Cup non si tocca! Anche qui vi ricorda qualcosa? La difesa di una competizione storica, meritocratica e nazionale contro chi vorrebbe sacrificarla sull’altare di una competizione chiusa, elitaria e sovranazionale. Ma negli USA sta succedendo di più. Perché la questione rimette al centro il tema delle leghe chiuse e adesso da più parti si chiede alla MLS di aprire ad un sistema di promozione e retrocessioni con la US Championship (de facto il secondo livello del calcio statunitense).
Difficile che accadrà nel breve termine. Ma la crescita anche delle leghe minori, che spesso rappresentano territori che la MLS non considera come market profittevoli, ma che dal punto di vista del tifo e del seguito non hanno nulla da invidiare alle franchigie patinate di New York o Los Angeles, potrebbe nei prossimi anni aprire a progetti di riforma. Paradossalmente il tentativo della MLS di inglobare il calcio messicano potrebbe invece risolversi con la componente dei latinos, bacino socio-demografico in ascesa e principale traino della crescita del calcio negli USA, che ‘latinizza’ (leggasi ‘europeizza’) il calcio a stelle e strisce. Ed è ancora più paradossale che ciò stia avvenendo mentre UEFA, FIFA e SuperLega pensano che ‘americanizzare’ il calcio sia l’unica soluzione da questa parte dell’Oceano.