Sergej Milinkovic-Savic alla fine ha lasciato la Lazio e l’Italia per approdare in Arabia Saudita: un grande spreco di talento
Il calcio di oggi è soprattutto business. Se si toccano le corde giuste, di fronte a un’offerta importante per il club e per il giocatore – con relativa commissione per l’agente, è ovvio – ci si può portare a casa chiunque. Sono quelle cose che succedono spesso, soprattutto se a comprare sono personaggi con grande disponibilità economica. Ma bisogna andare per gradi. Perché poi c’è altro. C’è il talento, la disciplina, la voglia di mettersi in gioco ad altissimi livelli, l’ambizione di essere il migliore di tutti. Andare in campo per dimostrare all’avversario di essere più forte non perché si gioca e si combatte per qualche motivo in particolare. Lo si fa per la propria persona, per superare i propri limiti. Per dimostrare a sé stessi di essere i migliori.
Sergej Milinkovic-Savic è uno che poteva e aveva tutte le qualità per essere il migliore. Forza fisica, tecnica, senso del gol, colpo di testa, intelligenza tattica. Quando lo si vede giocare, il primo pensiero è sempre lo stesso: “Cosa ci fa in Serie A? Perché non gioca in un club che lotta per vincere ogni anno la Champions League?“. Perché il mercato è strano. A prescindere dalla competitività o meno del campionato italiano, esiste la competenza delle dirigenze sportive. In più di un’occasione, negli ultimi anni, le squadre hanno comprato giocatori semisconosciuti che si sono poi rivelati dei campioni assurdi. E Sergej è uno di questi. Fa parte di quella categoria di calciatori comprati per poco più di 10 milioni di euro a vent’anni che nel giro di poche stagioni ne vale sei o sette volte di più.
Però poi il prezzo lo fa il mercato. E Claudio Lotito ha sempre sparato altissimo. Per un motivo o per un altro, la Lazio è riuscita a tenere otto anni uno come Milinkovic-Savic. Perché poi, a dirla tutta, il centrocampista serbo a Roma si è sempre trovato bene, anche per l’affetto che i tifosi gli hanno dato. Il loro gioiello, il giocatore tecnicamente più importante della squadra. Ma le cose cambiano. C’è quella vocina nella testa che ti dice che a 28 anni hai giocato soltanto 7 partite nella fase a gironi di Champions League, in una sola stagione, nonostante tu sia uno dei più forti in Europa nel tuo ruolo.
La logica impone, dunque, che il futuro di Milinkovic-Savic sia automaticamente in un top club europeo come PSG, Bayern Monaco, Manchester United. Ma la realtà è diversa, perché a un anno dalla scadenza del contratto, la Lazio e soprattutto il giocatore stesso hanno trovato un accordo con l’Al Hilal per il suo trasferimento in Arabia Saudita. L’accordo tra gentlemen tra il club biancoceleste e Kezman – agente di Milinkovic – imponeva la cessione di fronte a un’offerta tra i 35 e i 40 milioni di euro. Detto, fatto. Il serbo ci ha messo poco a convincersi a dire di sì a un contratto triennale da 20 milioni a stagione.
E dunque l’ambizione, la voglia di essere il numero uno, il giocare per sé stessi e imporsi sul palcoscenico come un attore protagonista di una grande compagnia teatrale, insomma, tutti i discorsi fatti nell’incipit, vanno a farsi friggere. Esiste la curiosità, quella di vedere un giocatore essere grande in un top club – non che la Lazio non lo sia, ma non lotta per vincere la Champions – e poi esiste la realtà. E quella è fatta di soldi, tantissimi, che a 28 anni Milinkovic ha deciso di accettare. Perché nella vita esistono delle priorità, nessuno può fargliene una colpa. C’è chi preferisce continuare sulla propria strada, seguendo le sue aspirazioni anche a costo di non raggiungerle del tutto, e chi vuole altro.
Resta la felicità di aver goduto delle prestazioni di un grande calciatore, unita all’amarezza di un punto interrogativo: chissà come sarebbe andata la sua carriera se fosse rimasto in Europa. O se avesse lasciato prima la Lazio.
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