Jankto sarà il primo calciatore dichiaratamente omosessuale in Serie A, ma l’accoglienza ricevuta dal Ministro Abodi lascia a desiderare.
Che Jakub Jankto sia il primo calciatore dichiaratamente omosessuale a giocare in Serie A è un fatto che dice in realtà poco dell’omofobia nel calcio italiano. Il fenomeno è purtroppo molto più generalizzato: in Europa, sono molto rari i campionati in cui questo traguardo storico è già stato raggiunto. Ciò che risalta, purtroppo, è la reazione che il trasferimento del centrocampista ceco al Cagliari ha suscitato nella politica, e in particolare nel Ministro dello Sport Andrea Abodi.
Bisogna essere sinceri: le dichiarazioni di ieri a ‘Radio 24’, rincarate quest’oggi su ‘La Stampa’, in qualsiasi altro paese dell’Europa Occidentale avrebbero comportato le dimissioni dalla carica. O, perlomeno, delle scuse inequivocabili. Nessuna di queste due cose è al momento avvenuta e non sembra possibile che possa accadere nel prossimo futuro: l’anomalia italiana è essenzialmente questa.
Abodi ha iniziato, lunedì mattina, definendo quella di Jankto come una “scelta personale”, per poi precisare che non ama “le ostentazioni”. Scatenatasi la bufera, è intervenuto con un tweet, in risposta al sito ‘Sportface’, per precisare che il suo commento era riferito ad “alcune espressioni del Pride”. Non è chiaro perché si sia sentito in dovere di parlare del Pride in riferimento a Jankto, ma Abodi ha ribadito l’argomentazione in un’intervista uscita quest’oggi su ‘La Stampa’.
Da questo discorso emergono tre cose. Innanzitutto, la scarsa consapevolezza sul tema dei diritti LGBTQ+ e dell’omofobia, che ha portato il Ministro a definire un orientamento sessuale “scelta personale”. Abodi ha spiegato a ‘La Stampa’ che l’errore è dovuto al fatto che la domanda non era preparata. Viene però da chiedersi se un politico di governo abbia bisogno di una particolare preparazione per parlare di un tema di strettissima attualità sociale come appunto l’omosessualià.
La mancanza di scuse su questo aspetto, e la confusa giustificazione del passaggio successivo (le “ostentazioni”) sono l’altro problema. Non è chiaro perché il Ministro abbia voluto parlare del Pride quando gli era stato chiesto di Jankto, appunto. Le sue parole sembrano piuttosto essere un contentino al pubblico di destra, rievocando una certa banale retorica “anti Pride” che si sente da anni in quegli ambienti.
Il terzo punto, che ha fatto meno clamore ma è forse più grave, è la necessità di Abodi di sottolineare che per lui Jankto è innanzitutto “una persona”. Concetto ovviamente sacrosanto, ma proprio per questo non è necessario precisarlo. Per capirci: non è un merito riconoscere che un omosessuale è un essere umano tanto quanto un etero. Dovrebbe essere un dato di fatto. E sottolinearlo ripetutamente, in tutti e tre i suoi interventi, denota una visione abbastanza preoccupante.
L’omofobia è un problema concreto, nella società moderna e ancora di più nel calcio maschile, qua in Italia. Le istituzioni, del calcio e non solo, hanno finora fallito ogni approccio alla questione, dimostrando scarsa conoscenza del problema, e ancor di più scarsa sensibilità. Diventa difficile parlare di sanzioni verso i tifosi che compiono atti discriminatori (pensiamo anche ai casi di razzismo e antisemitismo) quando a monte sentiamo e leggiamo parole simili. Proprio per questo, probabilmente, il Ministro dello Sport dovrebbe riflettere sulla adeguatezza al ruolo che rappresenta.
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