Dopo il parere negativo di ben 77mila tifosi, l’Atletico Madrid ha deciso: si torna al vecchio stemma. La tradizione vince sul marketing?
Negli ultimi anni il marketing ha sempre più preso piede nel calcio. Dalla comparsa dei primi sponsor a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 le divise delle squadre di calcio hanno smesso di essere solo mezzo di riconoscimento per arbitro e compagni in campo. Un processo lungo e irreversibile, che il prorompente ingresso prima della Tv e poi del web ha esacerbato.
Le squadre di calcio, da qualche anno ormai, hanno smesso di essere semplici società sportive e sono diventate dei veri e propri brand. Aziende che hanno nel calcio giocato e nei risultati sul campo non tanto il fine, ma piuttosto il mezzo attraverso il quale aumentare il loro valore e fare altri profitti. E i brand ragionano da brand, con le loro logiche, con i loro linguaggio e con le loro necessità.
Il recente trend che vede tantissime squadre cambiare il loro stemma, per renderlo più minimal, rientra perfettamente in queste logiche. In Italia da diverso tempo molte squadre hanno intrapreso questa strada di cambiamento. Il caso più eclatante è forse la Juventus che ha ‘ridotto’ tutta la sua brand identity ad una semplice J stilizzata in modo da richiamare le strisce bianconere. Ma anche l’Inter, la Fiorentina, il Cagliari, l’Hellas Verona hanno negli scorsi anni apportato cambiamenti più o meno marcati ai loro stemmi. Persino il Napoli, forse una delle poche società che ha sempre avuto uno stemma già minimal, nel 2004 ridusse ulteriormente il suo stemma, eliminando qualsiasi scritta oltre la semplice lettera N.
Il motivo principale di questo trend è riconducibile appunto ad una semplice esigenza di marketing. Lo stemma, che a questo punto sarebbe meglio definire logo, deve essere quanto più facile da riprodurre e da riconoscere. Pochi orpelli e se ci sono questi devono essere identificativi al massimo. Non tanto per i tifosi attuali, ma per i consumatori potenziali.
Così ad esempio il PSG elimina la culla di Luigi XIV e invece mantiene il fleur de lys, simbolo facilmente associabile alla Francia e alla città di Parigi. Idem la Roma che nel 2013 sostituì la scritta ASR con un più facile ed identificabile, per un mercato estero, in quel caso soprattutto statunitense, ROMA.
Certe volte però i proprietari si spingono troppo oltre. Come dimenticare il caso del Cardiff. Nell’immaginario collettivo il Galles è associato al colore rosso e al dragone. Questo dovette pensare il nuovo proprietario Vincent Tan il quale cambiò sia lo stemma che i colori sociali per fare in modo che il Cardiff City venisse identificato con l’intero Galles. Un’operazione che portò a vere e proprie proteste, sia da parte dei tifosi del Cardiff, sia da parte delle altre squadre gallesi, Swansea in primis. Alla fine l’esperimento, dopo un biennio di polemiche fu accantonato e si tornò al classico blu con il Bluebird come simbolo del club.
Ultima contesa in ordine di tempo quella tra l’Atletico Madrid e i suoi tifosi. Nel 2017 i Colchoneros apportarono alcune modifiche allo stemma. A grandi linee si trattò di una semplificazione dello stemma precedente. Notizia di questi giorni è che si torna allo stemma pre 2017. Una votazione tra tutti i soci dell’Atletico Madrid ha infatti deciso, con percentuali bulgare, di tornare al vecchio stemma.
Per quanto la votazione non era vincolante, la società ha comunque deciso di assecondare i suoi tifosi e, dal 2023/24, si tornerà al vecchio logo. A differenza di altre situazioni, nelle quali il parere dei tifosi più affezionati è stato messo da parte sull’altare di logiche di marketing, sta volta a spuntarla è stata la tradizione. Resta comunque da capire, ritenendo legittime sia le istanza di chi non vuole vedersi toccare la propria storia e i propri simboli, sia di chi ha esigenze di espandere quello che, facciamocene una ragione, è un business, si ci possa essere un punto d’incontro.
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