La vicenda Giuntoli ci porta alla solita domanda: nel mondo del calcio conviene trattenere qualcuno contro la propria volontà?
Cristiano Giuntoli è a tutti gli effetti ancora il direttore sportivo del Napoli e, contratto alla mano, lo potrebbe essere per tutta la prossima stagione. Il punto però è proprio quel “contratto alla mano”. Perché non è un mistero che il direttore sportivo dello Scudetto, dopo aver portato il Napoli sul tetto d’Italia, vuole una nuova avventura professionale.
Dopo lo storico traguardo all’ombra del Vesuvio, il direttore sportivo ha intenzione di fare come Luciano Spalletti. Solo che, e questo fa tutta la differenza del mondo dal punto di vista di Aurelio De Laurentiis, mentre Spalletti ha lasciato per prendersi un periodo di pausa dal mondo del calcio, Giuntoli, non è un mistero, ha già in mano un accordo con la Juventus.
Il club bianconero, reduce da una stagione complicata e da ultimi anni di mercato non certo da ricordare, ha individuato proprio in Cristiano Giuntoli il suo uomo mercato. Solo che al momento Giuntoli ha ancora un contratto in essere con il Napoli e per liberarsi deve trovare un accordo con il presidente azzurro Aurelio De Laurentiis. Le parti stanno avendo contatti serrati e le sensazioni propendono per un accordo che risolva il contratto in essere tra le parti. In molti però sperano in una presa di posizione dura di De Laurentiis. Un’imposizione per far rispettare i contratti. In fondo Giuntoli ha firmato fino al 2024, perché deve andarsene adesso? Oltretutto per rinforzare una rivale?
Meglio un tesserato scontento o un tesserato in meno?
Le ragioni di chi, prendiamo il caso specifico di Giuntoli, ma potremmo estendere il discorso anche ad altre situazioni, vuole il rispetto dei contratti sono comprensibili. D’altronde, ribadiamolo, nessuno obbliga un calciatore, un allenatore o un dirigente a firmare per tot anni. D’altro canto però anche le ragioni dell’altro lato sono comprensibili: che interesse avrebbe il Napoli, consideriamo sempre il caso specifico, a trattenere un professionista scontento che certamente potrebbe non svolgere al 100% il suo lavoro (al netto comunque dalla professionalità del singolo in questione)?
C’è comunque da osservare che il mercato del lavoro nell’ambito calcistico è molto particolare. Stiamo parlando di un contesto in cui il lavoratore è iper-specializzato (o, usiamo un anglicismo per far capire meglio, iper-skillato) e quindi, di conseguenza, ha una grandissima forza contrattuale in un contesto in cui, essenzialmente, i rapporti di lavoro sono regolati sottoforma di trattativa a due, da un lato l’atleta dall’altro la società.
In questo contesto di iper-specializzazione e di conseguenza di carenza di bacino di “manodopera” le società sono sempre la parte debole. Un calciatore, un direttore sportivo, un allenatore spesso batte cassa o rescinde perché ha già una sistemazione migliore. Nulla di paragonabile al “mondo reale” dove invece accade l’opposto: c’è troppa manodopera e poco lavoro. La domanda sul fatto se conviene o meno bloccare i tesserati scontenti assume tutt’altro significato sulla base di questi diversi presupposti.
Una possibile soluzione: fare come in Formula 1
Nel caso di Giuntoli, o comunque di un dirigente, c’è però un altro aspetto da considerare. Un calciatore o un allenatore che cambia squadra parte in un certo senso, al netto di cose extra-sportive tipo uno sponsor che si porta dietro, quasi da zero. Un direttore sportivo invece può portare con se tutte quelle trattative imbastite e non ancora concluse.
La cosa più importante per un dirigente nel mondo sportivo non è tanto la sua abilità, ma il suo know-how. Non tanto quello che può fare, ma tutto il bagaglio di nomi, contatti, rapporti che si porta dietro. Una situazione che ricalca, in un certo senso, quella del mercato dei tecnici in Formula 1. Se un ingegnere passa dalla Ferrari alla Red Bull c’è il rischio che con lui porti anche tutti i progetti a cui stava lavorando.
E proprio in Formula 1 hanno trovato una soluzione che, lungi dal risolvere il problema, lo argina quantomeno. Nel campionato motoristico esiste una regola chiamata gardening leave: i tecnici dimissionari devono obbligatoriamente rispettare un anno di pausa prima di poter lavorare con una nuova scuderia. Sarebbe una soluzione accettabile anche per i dirigenti nel calcio?