La vicenda delle offerte al ribasso per i diritti tv fa tornare di moda la domanda: è vero che il calcio italiano non è attraente?
L’obiettivo delle Lega Serie A era quello di vendere il prossimo pacchetto per i diritti televisivi per una cifra superiore al miliardo. Una cifra che, come ha rivelato a TVPlay.it il giornalista Marco Bellinazzo, non solo non è stata raggiunta, ma non ci si è andati nemmeno vicino.
Adesso partirà il secondo round, con i capi del nostro calcio che inizieranno le trattative private con le emittenti disposte a trasmettere le partite del nostro campionati. Che, a conti fatti, sono sempre le stesse: Sky, DAZN e la rediviva Mediaset. Solo quest’ultima tra l’altro sarebbe quella intenzionata a portare un po’ di novità in un panorama da anni paludoso. Il Biscione, che vuole ritentare l’avventura anni dopo Premium e comunque ingolosita dai discreti numeri fatti con Champions League e Coppa Italia, punta a trasmettere un match in chiaro: quello del sabato sera.
Tutte e tre però non si sono nemmeno avvicinate alla prima richiesta, o sarebbe meglio definirla speranza, della Lega Serie A. Nelle stanze dei bottoni serpeggia comprensibilmente una certa delusione, trapelata grazie alle parole del fresco scudettato Aurelio De Laurentiis. Siamo forse arrivati al punto zero di quella sensazione che da anni serpeggia, viene sussurrata, ogni tanto viene evocata, ma che adesso sembra fattuale: in fondo, se il prezzo lo fa il mercato, la Serie A non interessa più a nessuno?
Uno dei motivi con i quali Andrea Agnelli aveva cercato di vendere la bontà della Superlega era il problema generazionale: la Gen Z, ma a dire la verità anche i Millennial, non guardano il calcio. O meglio, non lo guardano come lo guardavano i loro padri e i loro nonni. Preferiscono consumare il calcio in modo diverso. Virtuale, la parola d’ordine: highlights su YouTube e FUT di FIFA (dall’anno prossimo EA Sport FC, ndr). Ciò però, ancora prima che il progetto Superlega franasse di fronte alle proteste dei tifosi e al mancato appoggio politico, è una spiegazione riduttiva e autoassolutoria.
Perché, a parte la Premier League che gode di ottima salute, gli altri campionati arrancano, ma nessuno arranca come la Serie A. Verrebbe quindi da dire che ciò è dovuto ad un emorragia di campioni, con il campionato italiano che è diventato di passaggio e non più meta, come negli anni ’90 di campioni a campionissimi. Anche questa però è una spiegazione autoassolutoria e forse un po’ fatalista. Altri campionati, che pure non hanno chi sa quali quote di campionissimi, se la passano meglio della Serie A. Certo, forse la Serie A dovrebbe abbassare le pretese, ricordarsi di non essere più il top dei top. Ma stiamo comunque parlando del terzo campionato UEFA, un movimento che ha vinto l’ultimo Europeo e ha portato tre squadre in finali continentali nell’ultima annata? Siamo davvero così scarsi da non poter sperare di generare interesse?
Verrebbe quindi da pensare che si tratti della noia da “vincono sempre i soliti”. Chi mai vedrebbe un campionato nel quale vincono sempre le stesse? Eppure quest’anno a vincere, contro tutte le aspettative della vigilia, è stato il Napoli. Che non solo ha vinto, ma ha anche generato, soprattutto all’estero, un grandissimo interesse. In fondo le storie degli underdog tirano sempre molto per i tifosi neutrali. Eppure, proprio nell’anno in cui viene interrotto l’oligopolio ventennale dell’asse Milano-Torino, la Serie A sembra essere meno appetibile. La domanda a questo punto da farci è: ma, tirando le somme, meno appetibile per chi?
Paradossalmente la poca appetibilità della Serie A potrebbe essere data dal voler rincorrere il target sbagliato. Il nostro campionato, abbagliato forse da un momento storico in cui sembrava che tutto il mondo dovesse correre sempre e per sempre verso il progresso, ha deliberatamente puntato sul “calcio virtuale” e sui target alto-spendenti, anche esteri: televisioni prima di tutto, calendario spezzatino, coppa nazionale fatta su misura per avere in semifinale scontri tra big, supercoppe negli angoli più remoti del mondo, comunicazione che ammiccava a gente che il calcio lo segue come sottofondo per la tv da 58” 4K.
In pratica ha voluto inseguire Premier League e Liga, esagerando oltretutto quanto fatto da queste ultime, nella speranza di copiare i risultati. E, scusate il gioco di parole, sapete quale è stato il risultato? Che i risultati non sono arrivati. Perché a differenza della Premier League e della Liga, che possono contare su di un vantaggio assurdo in termini di vendita del prodotto di intrattenimento all’estero, ossia la lingua, la Serie A ha finito sia per fallire nell’internazionalizzazione, in quanto mancavano le basi, sia nella valorizzazione della sua specificità, che poteva essere invece il punto peculiare per rendere il prodotto interessante.
Rincorrendo la parte alto-spendente della Gen Z, attenta, se non ossessionata, più a consumi fariseistici e che ritiene il calcio e tutto ciò che c’è attorno addirittura inutile per poter fare virtue signalling all’interno della propria bolla, si è lasciata indietro la parte popolare di quella generazione, quella che allo stadio, se ci fossero prezzi umani e orari definiti, ci andrebbe volentieri. Rincorrendo arabi, cinesi, statunitensi, ci si è dimenticati che per loro è più facile consumare un prodotto in inglese che uno in italiano. E non basta il posticcio chiamare la supercoppa “Supercup” per abbattere la barriera linguistica. Anche perché nel frattempo la barriera, sia sentimentale che materiale, l’hai costruita con il tifoso affezionato, con colui che ti seguiva in trasferta, ma che adesso, prezzi e spezzatino, lo costringono a stare a casa.
Certo, c’è poi il problema della pirateria. Non diamo tutte le colpe solo al calcio. Anche chi vende il prodotto dovrebbe farsi un esame di coscienza. Lungi dal voler giustificare la pirateria, che resta un reato e come tale va trattata e punita, ma un discorso sui prezzi. Non è abbordabile per il classico padre di famiglia affrontare tre abbonamenti televisivi per vedere la propria squadra. Magari, nelle trattative privata tra un “voglio un miliardi” e un “ti offro la metà” un discorsetto su come, insieme, migliorare sia il prodotto che le modalità di vendita, lo si potrebbe fare, no?
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