Al termine di una stagione estenuante arriva anche la Nations League. Non è che forse stiamo un po’ esagerando con il numero di partite?
Facciamo un rapido calcolo: 38 giornate di campionato nazionale; tra le 6 e le 13 partite di competizione continentale; in media 5 partite di coppe nazionali, in mezzo quest’anno ci abbiamo messo anche i Mondiali, quindi dalle 3 alle 7 partite; un paio di pause per le nazionali e adesso anche la Nations League.
La stagione di un calciatore di alto livello che gioca in Europa rischia di toccare un range che va tra le 60 e le 70 partite. Certo, c’è il turnover direte voi. Il che è vero se guardiamo il tutto dal punto di vista del calciatore. Un calciatore stanco può riposarsi, magari giostrare il minutaggio e tante altre cose. Ma se consideriamo la squadra nel suo complesso, le cose cambiano.
E’ vero, l’introduzione delle cinque sostituzioni e della panchina lunga ha rivoluzionato il concetto di turnover. Gli allenatori possono giostrare meglio il turnover e gli stessi calciatori riescono a distribuire con più efficienza le loro presenze e il loro minutaggio. Ma una giornata dedicata alla partita è una giornata in meno di allenamento. E una giornata in meno di allenamento è una giornata in meno che può essere dedicata alla preparazione del match successivo, al correggere errori al provare nuove tattiche.
Recentemente ha fatto scalpore nel mondo della Formula 1 la dichiarazione del numero uno del circus Stefano Domenicali sul voler portare il mondiale della massima competizione motoristica a 24 Gran Premi. Cosa c’entri questo con il calcio è presto detto. Perché il principio che spinge la Formula 1 ad ingolfare il calendario, arrivando quasi ed eliminare definitivamente la storica cadenza quindicinale dei Gran Premi, non è molto diverso da quello del calcio: soldi.
Più partite (e più Gran Premi) significa più possibilità di trasmettere in televisione, più possibilità di trasmettere in televisione significa più soldi sborsati dalle emittenti, più soldi sborsati dalle emittenti che comprano più partite significano… più soldi! Niente più e niente meno. Una mera questione economica: il denaro che vince sullo sport.
E la tendenza continuerà anche nei prossimi anni: la Serie A che porta la Supercoppa da gara secca a final four, cosa che la Liga già ha sperimentato da qualche anno. E che dire del nuovo format della Champions League? Altre partite, altri slot del calendario che vanno occupati. La tendenza ca va sans dir è la scopiazzatura di ciò che negli Stati Uniti succede da decenni. Le 82 partite della regular season di NBA e le ben 162 della MLS ne sono la prova. Che importa che buona parte di queste si riduca a poco più di un amichevole? La gente compra, le società vedono, i proprietari incassano: è il mercato.
In tutto questo però resta totalmente fuori la dinamica sportiva. Meglio 8 partite su 30 giornate ma con un alto livello di competitività, oppure 10 su 38 giornate ma con mezza dozzina di squadre che a metà campionato non ha più nulla da dire? Dal punto di vista sportivo la risposta è semplice, dal punto di vista economico anche.
Ma ci sono altri due fattori da considerare. Il primo, forse il principale, è che i calciatori (ma in generale gli sportivi) non sono delle macchine. E’ vero la combo tra le potenzialità del corpo umano e i metodi di allenamento di oggi hanno permesso al nostro corpo di raggiungere e superare limiti assurdi: ma siamo pur sempre essere umani. Dietro la perfezione di un Mbappé o di un Haaland ci sono sempre tendini, muscoli ed ossa. E c’è sempre un limite. Tutte queste partite all’anno sono sostenibili fisicamente?
Infine un’ultima considerazione: il tempo dell’allenamento. Si gioca ogni tre giorni. Campionato, coppa, di nuovo campionato, poi infrasettimanale, nazionale e di nuovo campionato. E il tempo per allenarsi? Anche l’allenamento è parte dello sport, anzi è il grosso dello sport, il lato oscuro e indispensabile che poi noi vediamo mostrato in campo. Ridurre l’allenamento, la preparazione, il riposo, il tempo per ricaricare le energie fisiche e mentali per migliorare e poi esser di nuovo in campo a fastidi sull’altare delle televisioni, dello spettacolo continuato, delle bulimia di contenuti sarà forse più intrattenimento, ma di certo è meno sport.
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