No, il Manchester City non è solo spendaccione

La Champions League vinta dal Manchester City impone una riflessione: davvero è stata solo una questione di soldi?

Partiamo da una doverosa premessa, qualsiasi discorso riguardante una squadra inglese deve necessariamente essere calato in quel contesto particolare. Mentre l’Europa calcistica assisteva al fallimento del ‘golpe’ di Juventus, Real Madrid e Barcellona sulla Superlega, ci si dimenticava di vedere che una SuperLega, de facto, esiste già e si trova in Inghilterra.

Manchester City
In questa stagione il City ha vinto la prima Champions della sua storia (LaPresse) SerieANews.com

C’era una volta la Serie A degli anni ’90, dove anche squadre come il Parma, la Lazio o la Fiorentina non badavano a spese per ingaggiare i migliori calciatori del mondo. Dove un Brescia poteva permettersi Hagi e dove la Coppa UEFA era, visto l’elevato tasso tecnico, una questione tutta italiana. Poi, un mix di cecità sul lungo termine, ma soprattutto lo svelare che quella reggia del massimo campionato italiano era un castello di carte retto da debiti e altri debiti, ha traslato il baricentro del football verso l’Inghilterra.

Questo, in poche parole comporta una serie di cause-effetto che vanno ad alimentarsi a vicenda: gli imprenditori più facoltosi del globo, che ormai non sono più europei, investono in Premier League, i migliori calciatori vanno in Premier League, la Premier League diventa sempre più prestigiosa, il prodotto Premier League si vende meglio, la Premier League incassa più soldi rispetto alla altre leghe e… attira più investitori da ogni angolo del mondo. Così in loop. Il risultato negativo è però una spirale di costi che continua a salire e che rende l’ingresso nel mercato sempre più dispendioso.

Va bene spendere ma bisogna saper spendere

Perché questo lungo preambolo? Semplicemente per chiarire una questione fondamentale: se sei un nuovo investitore che vuole entrare in Premier League, ad oggi sportivamente è l’investimento migliore, e vuoi essere competitivo sul breve termine allora devi spendere soldi. Parecchi soldi.

Pep Guardiola
Pep Guardiola, dopo il Triplete a Barcellona arriva anche il Treble a Manchester (LaPresse) SerieANews.com

Se ne accorse Roman Abramovich quando a metà del primo decennio degli anni 2000 comprò il Chelsea, se ne è accorta recentemente la nuova proprietà del Newcastle. Se ne accorto anche qualche anno fa il Manchester City. Chi entra in Premier League o compra direttamente una big, come fecero i Glazers nel 2005, ma si tratta di spendere tanti soldi, oppure prendi un club di media classifica, tipo il Manchester City dell’epoca o il Newcastle, e i soldi li devi spendere per costruire una squadra competitiva.

Naturalmente tutto questo genera una spirale inflazionistica che rende, anno dopo anno, sempre più costoso l’ingresso di nuovi investitori e, di conseguenze, sempre più gravoso l’esborso per i nuovi investitori per far entrare subito la loro squadre nei top team. Solo inquadrando il tutto in quest’ottica si capiscono le spese folli del Manchester City nei primi anni degli sceicchi. Poi però alle spese folli si deve fare il passo successivo: perché va bene spendere, ma conta soprattutto come si spende.

E se il City Group alla fine avesse ragione?

Chi crede che il Manchester City sia arrivato alla vittoria della Champions League solo spendendo deve ricredersi dati alla mano. Il City, prendendo in esame l’ultima stagione, è solo nona per cifra spesa sul mercato. Anzi, i Citizens hanno persino un saldo positivo di 11 milioni. Guardiola per vincere il Triplete quest’anno ha fatto un mercato “low cost” se paragonato al mezzo miliardo che Todd Boehly ha speso per arrivare a metà classifica con il Chelsea o ai 250 milioni dello United per essere la ‘seconda squadra di Manchester’.

Todd Boehly Chelsea
Nonostante più di mezzo miliardo speso sul mercato il Chelsea è reduce da una stagione disastrosa (LaPresse) SerieANews.com

Certo, se prendiamo lo storico della spese del Manchester City da quanto è stato acquistato dalla nuova proprietà troviamo grandissime spese, ma queste, arrivati ad un certo punto, più o meno dall’arrivo di Guardiola in panchina, si sono stabilizzate e sono rimaste nel trend dei top club della Premier. In altre parole il City non spende più delle dirette rivali come Manchester United, Arsenal, Chelsea targato USA, Liverpool o Tottenham. Eppure vince di più.

Inoltre la proprietà dei Citizens ha investito molto in strutture, vedi l’Ethiad Stadium e in una rete di club in giro per il mondo in grado di essere serbatoio di talenti, un po’ come fatto dalla Red Bull solo che, a differenza della Red Bull, la proprietà del City, come nel caso del Palermo, ha preservato l’identità dei vari club “satellite”.

Un discorso simile peraltro era avvenuto anche al Chelsea sotto la proprietà del magnate russo Roman Abramovic. Primi anni di spese folli, ma poi nelle ultime stagioni prima della cessione del club una gestione più oculata, sempre nel contesto “folle” della Premier League, che aveva portato anche i maggiori successi sportivi. Situazione totalmente capovolta, sia dal punto di vista economico che sportivo, da Todd Boehtly che, spende tanto, ma al momento dimostra di non saperlo certo fare, visti i risultati sul campo del nuovo Chelsea. E dire che, a differenza di City o Newcastle, che dovevano spendere per andare subito al top, il Chelsea una base solida l’aveva già.

Come d’altronde lo United della famiglia Glazer. Spende a destra e a manca, ma senza la guida di Ferguson, sembra mancare una direzione e un progetto. E sembra paradossale che invece a Newcastle, nonostante la proprietà saudita abbia capacità di spesa praticamente illimitata si stia cercando già da adesso di seguire la strada del combinare le spese necessarie per entrare nei top club con comunque un’idea tecnico-tattica alla base. Altrimenti la fine del Chelsea è dietro l’angolo.

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