La prima Juve di Allegri vinceva grazie a una rosa fortissima. Oggi i migliori giocano con la maglia azzurra
Il 5-1 del Napoli alla Juventus, oltre ad essere un risultato storico, vale molto più dei tre punti in palio ogni domenica. Oltre al fatto di aver lasciato i bianconeri a -10 (e tra -10 e -4 c’è un abisso), ha consegnato al mondo una verità della quale tutti erano consapevoli, ma che molti avevano dimenticato nelle ultime otto giornate: il Napoli, oggi, è nettamente più forte.
La striscia positiva della Juventus era esaltabile soltanto guardandola con gli occhi del Televideo. La squadra di Allegri non brilla, è vulnerabile, non ha più un’identità. Non l’ha mai avuta, in realtà, da quando il livornese scelse la soluzione “di comodo”, quella di tornare a Torino, lasciando passare per la seconda volta il treno Real Madrid. Difficilmente ce ne sarà una terza.
La favola del corto muso funzionava fino al 2019, quando il modo di stare in campo della Vecchia Signora, a prescindere dai gusti, funzionava perché aveva interpreti di qualità assoluta. La Juve di Allegri, oltre a vincere tutto in Italia, disputò due finali di Champions e, in altre due occasioni, uscì facendo soffrire Bayern e Real Madrid (con l’indimenticabile 3-1 al Bernabeu).
Era una squadra davvero forte sia dal punto di vista dell’identità che da quello delle individualità. L’elenco dei grandissimi nomi che la componevano è lungo e lo hanno tutti ben presente. Uno però voglio ricordarlo: Paulo Dybala. Scaricato come un peso per il bilancio, ha preso per mano la Roma con 10 gol e tre assist in 16 presenze. Davvero credete che a questa Juve disperata non avrebbe fatto comodo?
Allegri ha spesso parlato di “livelli”, e Dybala è collocabile in quello dei giocatori decisivi. Di Maria, non a caso, è stato l’unico a dare segnali di vita bianconeri al Maradona insieme a un Chiesa costretto, suo malgrado, a fare quasi il terzino. Nel calcio, vincere non è una questione di “corto muso”: la differenza la fanno sempre i “cavalli”. E oggi i più veloci li ha il Napoli.
Spalletti non ha steso la Vecchia Signora soltanto grazie alla sua identità e a un piano gara perfetto. Le sue squadre, in fondo, hanno sempre espresso un’idea di calcio spettacolare (le due esperienze a Roma ne sono una grande testimonianza).
Se oggi sta dominando la Serie A è perché ha trovato calciatori che si incastrano perfettamente con il gioco che ha in mente e che sono i migliori nei loro ruoli del campionato. Kvaratskhelia e Osimhen, per esempio, sono indiscutibilmente i più forti: Lucianone è stato chiaro, definendoli tra i migliori al mondo, ed ha ragione.
Il Napoli è lassù perché applica alla perfezione i concetti del suo mister e perché ha loro due, ha Lobotka, ha Di Lorenzo, ha Kim, ha Zielinski… ha una rosa lunghissima, che gli permette di poter lasciare in panchina atleti del calibro di Raspadori, Simeone, Olivera, Lozano, Elmas, Ndombelé.
Nessun club in Italia unisce quantità, qualità e idee come lo fanno gli azzurri, nonostante il loro monte ingaggi, grazie al lavoro di Cristiano Giuntoli, sia solo quarto in classifica. Ecco perché discutere sul “giocare bene o male” diventa inutile quanto una discussione su quale sia il colore più bello. Il Napoli domina perché è la più forte.
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