Salutiamo un 2022 indimenticabile, nel bene e nel male, con l’addio a O Rey e il triste finale di CR7.
Abbiamo appena salutato un 2022 indimenticabile, nel bene e nel male. Dalla gioia della ritrovata normalità, degli stadi finalmente pieni, degli eventi senza limitazioni, al dolore terribile per il ritorno della guerra in Europa. Le sue ultime due settimane sono state coerenti con questa dinamica.
La meravigliosa festa dell’Argentina e di Messi, finalmente campione del mondo, ha anticipato il lutto per l’addio a Pelè, che ci ha lasciato a 82 anni. Perdiamo, probabilmente, l’ultima vera leggenda vivente del calcio, il primo ad averlo realmente cambiato. Chi è venuto e chi verrà dopo potrà conseguire titoli, battere record (e i suoi, in ogni caso, restano inarrivabili), ma mai raggiungere l’importanza, il peso, la grandezza della sua storia.
Pelé a 17 anni vinse una finale Mondiale, la prima delle sue tre, con un gol straordinario. Ha segnato più di tutti e dimostrato che, se il Brasile glielo avesse concesso, avrebbe battuto chiunque anche in Europa. Lo fece con 144 gol in 130 match contro italiani, portoghesi, spagnoli, tedeschi, inglesi e francesi, che di amichevole avevano ben poco. Ha battezzato un Maradona ancora in potenza tra chitarra e canzoni e lo ha ritrovato con lo stesso sorriso, oltre 30 anni dopo, in uno studio televisivo, portando in diretta i migliori palleggi nella storia dell’umanità. Dove c’era calcio, trovavi lui. “Edson un giorno morirà, Pelé no”, disse O Rey, e la sua immensa eredità è il primo tesoro di un 2023 che dovrà onorarlo, rispettando il gioco come lui ha sempre fatto.
Se il dibattito sul più grande di sempre ci perseguiterà in eterno (com’è giusto che sia, perché ogni tempo ha un suo idolo e ogni appassionato ha il diritto di scegliersi il suo) proprio in questi giorni ne abbiamo salutato un altro, quello che ci ha appassionato negli ultimi 15 anni. Messi ha stravinto in volata il suo personale duello con Cristiano. Jamie Carragher ha riassunto l’epilogo della saga: “Cristiano ha chiuso la carriera con un’intervista con Piers Morgan, Messi lo ha fatto alzando la Coppa del Mondo”.
Due anni fa, nessuno avrebbe potuto immaginare per CR7 un finale più triste. Scaricato dallo United, dai portoghesi (che votarono in massa per non vederlo più tra i titolari in Qatar), dal suo ct, dal Real Madrid (Florentino definì in diretta “senza senso” un suo eventuale ritorno), da tutte le big europee alle quali è stato proposto in questi mesi, uno dei migliori calciatori di ogni tempo chiuderà giocando in Arabia Saudita a 37 anni. Il miliardo di euro che incasserà resta un argomento solidissimo, ma i dubbi sull’opportunità di questa scelta restano.
Cristiano ha guadagnato più di qualsiasi altro calciatore e, grazie alle sue numerose aziende e all’infinita lista di sponsor, continuerà a farlo nei prossimi decenni. La sua carriera meritava un last dance diverso: magari, evitando le ultime dichiarazioni pubbliche contro lo United e scegliendo la via di un ingaggio estremamente low cost, realizzarlo sarebbe stato possibile. In fondo, appena sei mesi fa, Ronaldo ha chiuso una stagione con 24 gol in 38 partite, e, senza il solito stipendio monstre, i benefici economici di un suo acquisto sarebbero stati innegabili.
Ibrahimovic, che ha quattro anni in più rispetto a lui, si è rimesso in gioco al Milan e lo ha saputo trascinare quando disponibile in campo (con 36 gol in 74 gare) e anche fuori. Continuare a battere record, sentirsi ancora importante e decisivo e salutare degnamente il pubblico europeo, evidentemente, non era più nelle priorità di CR7. Il calciatore è ufficialmente finito, resta l’azienda. Peccato.
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