Pelé ha segnato la storia del calcio. Un portiere italiano è entrato di diritto in questa storia. Il motivo? La sua mano ha fermato ‘O Rey’.
Esistono campioni, fuoriclasse, calciatori in grado dei elevarsi e diventare pezzi di storia nel mondo del calcio. C’è poi chi la storia l’ha cambiata. E non sono tanti quelli che possono vantare il potere di aver segnato in maniera concreta l’evoluzione dello sport più popolare del mondo. Da Napoli a Buenos Aires, le gesta di Diego Armando Maradona hanno incantato e creato una scuola di pensiero secondo la quale il giocatore argentino sia a tutti gli effetti il calciatore più forte della storia.
Una corrente che va scontrandosi con coloro i quali invece individuano in Edson Arantes do Nascimento, noto al mondo come Pelé, il giocatore più forte di tutti i tempi. Una rivalità tutta Sudamericana, della quale si parla da sempre e che probabilmente non troverà mai un verità assoluta.
In queste ore proprie lui, Pele, vive momenti molto delicati per la sua salute. E’ questo che ci raccontano dal Brasile, con il mondo che guarda con apprensione in quel di San Paolo, dove l’ex campione è ricoverato all’ospedale Albert Einstein. Una battaglia, quella per la sua salute, che Pelé combatte ormai da anni. Dopo aver incantato il mondo su un campo da calcio, la sua vita ha richiesto uno sforzo ulteriore. Ora, alla veneranda età di 82 anni, i fan dell’eroe brasiliano guardano anche al suo passato glorioso.
Un passato importante, che l’ho ha visto fare gol in qualsiasi modo, da ogni angolazione. Una nazione intera lo riconosce come proprio eroe nazionale, sportivamente parlando un esempio al quale generazioni di giovani calciatori hanno guardato con grande ammirazione. La stessa ammirazione con la quale lo guardava un portiere, italiano, che si è ritrovato a giocare contro di lui nell’ormai lontano 3 dicembre 1972, ed al quale lo stesso ‘O Rey’ ha cambiato la vita.
Si, perché non è stato da tutti parare un rigore al giocatore ritenuto da milioni di persone il più forte della storia del calcio. Ci è riuscito un italiano, al tempo 32enne. Alberto Ginulfi in quel di Roma è ricordato ancora come il ‘portierone’ di quegli anni giallorossi. Dal banco del pesce con mamma Giulia in quel di San Lorenzo, quartiere romano, alla maglia da titolare con la squadra capitolina.
Il 3 dicembre del 1972, come detto, si giocò un’amichevole tra Roma e Santos. In campo entrambi, Pelé ed Alberto. Ad un certo punto uno contro l’altro, direttamente. Un calcio di rigore regala a Pele la possibilità di firmare l’ennesimo gol in carriera, ma anche a Ginulfi l’occasione di negare una gioia ad uno dei calciatori più forti sul pianeta.
A volte i sogni diventano realtà. Fino a quel momento soltanto tre rigori erano stati falliti da ‘O Rey’: con il Corinthians nel ’59, con il Guarani nel ’67 e con il Municipal de Lima l’anno seguente. La quarta volta proprio quel 3 dicembre del 1972, e a dirgli di ‘no’ proprio la mano del portiere della Roma.
Alla fine quella partita tra Roma e Santos finì 2-0. In gol Oberdan ed Edu, ma non Pelé. Non quel campione che ad oggi è ritenuto uno dei simboli di uno sport che fatica a trovare paragoni concreti da presentare all’altare di ‘O Rey’, cosi come a quello del ‘Pibe de oro’ argentino.
“Fa una finta a destra e tira a sinistra, rasoterra: paro in tuffo, con una sola mano”, il racconto di Ginulfi a distanza di anni ai microfoni de ‘La Repubblica’. ‘‘Mi diede la sua maglia, la custodisco gelosamente. Il giorno dopo quel rigore l’ho anche incontrato, fui invitato ad un rinfresco all’ambasciata brasiliana”, ha ancora raccontato l’ex portiere. Una gioia incontenibile, per una parata rimasta nella storia.
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