Il match tra Iran e Stati Uniti non vale solo la qualificazione agli ottavi di finale. E non è il primo caso nella storia dei Mondiali.
Può una storia che parte nel 1951 condizionare una partita di calcio? Certo, esattamente come una guerra sanguinosa può rendere celebre un tocco di mano, oppure quello che sembra un gesto ridicolo rivelarsi, 30 anni dopo, il grido disperato di un popolo contro una sanguinaria dittatura.
Iran–Stati Uniti non vale solo una qualificazione agli ottavi di finale dei Mondiali in Qatar. D’altronde a caricare la partita di significati extrasportivi ci ha pensato già la stampa occidentale e la risposta, per alcuni giusta per altri meno, del CT iraniano Queiroz.
“Cosa pensi delle proteste in Iran?” la domanda. “Parliamo di calcio.” la risposta del CT, prima della stoccata all’ipocrisia occidentale: “Perché queste domande non le fate anche al CT dell’Inghilterra per quanto successo in Irlanda del Nord e perché non le fate al CT degli Stati Uniti per quanto accaduto in Afghanistan?”
Insomma, partita che già così, senza che ci fosse lo spettro del dentro fuori e l’intreccio con un altro match che ha, seppur in maniera minore, intrecci politici e sociali tra Inghilterra e Galles, promette scintille.
Iran-Stati Uniti, una rivalità che dura da più di mezzo secolo
Ma torniamo al 1951, quando l’allora Primo Ministro iraniano Mohammad Mossadeq decide di nazionalizzare l’industria dell’estrazione di petrolio, fino ad allora monopolio nelle mani della British Petroleum. Gli Stati Uniti in verità nemmeno sono tanto ostili alla cosa. Sanno che ciò significherebbe infliggere un duro colpo all’ormai decadente impero britannico. E sanno che loro, come sta avvenendo in altre parti del mondo, possono sostituirsi ai cugini d’oltreoceano come potenza dominante nella regione.
Siamo però in piena Guerra Fredda ed anche a Mosca stanno facendo lo stesso ragionamento. Storicamente l’Iran è sempre stato punto di contrasto tra gli interessi russi e quelli prima inglesi e adesso americani. Per questo motivo a Washinghton e Londra mettono in piedi l’Operazione Ajax. Risultato: Mossadeq è messo fuori dai giochi, ma al contempo, considerando le idee laiche e progressite di quest’ultimo, si è dovuta accrescere la radicalizzazione islamista nel paese.
Arriviamo al 1979 dove queste forze islamiste prendono il potere. Al colpo di stato fa seguito quella che forse è il momento più alto di tensione tra Stati Uniti e Iran: la crisi degli ostaggi. Diversi cittadini americani per due mesi sono letteralmente costretti a rifugiarsi nell’ambasciata canadese, ostaggio di una folla inferocita. La crisi rientra, ma i rapporti sono ormai compromessi.
Segue, pochi mesi dopo, la guerra Iran-Iraq, con gli Stati Uniti prima impegnati a fornire di armi a Saddam Hussein e poi, di fronte alla prospettiva di una guerra di logoramento tra i due paesi, mettono in piedi l’operazione Iran–Contras. In pratica da un lato gli USA sostengono Saddam, dall’altro, tramite una triangolazione CIA-Iran-guerriglia anti comunista in Nicaragua, vendono armi anche all’Iran, prolungando di fatto il conflitto tra i due paesi.
Iran che, dal canto suo, negli ultimi anni è responsabile di due grossi smacchi per gli Stati Uniti in Medio Oriente: la guerra in Siria e la guerra in Yemen. Sostegno ad Assad da un lato e sostegno agli Houthi contro la coalizione saudita dall’altro. In tutto ciò rapporto sempre più stretto con la Russia di Putin. La risposta statunitense? Il generale Qasem Soleimani, considerato un eroe in patria, ucciso a Baghdad, oltre ad un decennale ormai embargo economico.
Prendete tutto questo e trasportatelo in un campo di calcio? Poca pressione addosso ai calciatori iraniani, no? Calciatori tra l’alto già in contrasto con il loro governo dopo l’implicito sostegno dato nella prima partita alle proteste che da diverso tempo stanno attraversando l’Iran.
Vincere, in Iran ma anche negli USA, avrebbe un grande significato politico prima che sportivo.
Argentina-Inghilterra, Maradona e la Mano de Dios
Un po’ come accadde con la Mano de Dios. I corpi dei soldati argentini morti durante la guerra delle Falkland ancora caldi e Maradona, uno che certamente è comunque di quanto di più lontano umanamente e ideologicamente dalla dittatura militare che volle imbarcarsi in quella guerra impari contro la potenza militare britannica, che diventa eroe prima politico e poi sportivo. Simbolo nazionale di vendetta e riscatto.
E’ stata la Mano de Dios a far capire agli inglesi che forse con le armi sono ancora superiori, ma che se c’è una giustizia divina, quella è dalla parte degli argentini. Poi, naturalmente, per ricordare all’odiato imperialismo britannico che anche il calcio è materia conosciuta bene nel nuovo mondo, ecco il Gol del Siglo.
Cile-Unione Sovietica, la partita che non si è mai giocata
Qualche anno prima fu invece il paradossale silenzio a fare rumore. Non era un Mondiale, ma ci si giocava la qualificazione al Mondiale. Quello del 1974 in Germania Ovest. A giocarsi il pass il Cile e l’Unione Sovietica. L’andata si gioca a Mosca a soli due giorni dal golpe cileno di Pinochet che porta alla morte del legittimo presidente Allende. Finisce 0-0 e tutto rimandato alla gara di ritorno.
Solo che quella partita non si giocherà mai perché nel frattempo la situazione geopolitica precipita e l’Unione Sovietica si rifiuta di mettere piede in quello stesso stadio che il regime cileno, alleato degli Stati Uniti, utilizzava come campo di detenzione per dissidenti politici. In una cornice surreale a scende in campo fu solo il Cile che addirittura segnò letteralmente senza avversari in campo.
Austria-Germania, il Wunderteam che sconfisse la propaganda di Hitler
Di episodi iconici l’immaginario dei mondiali è pieno. Nel 1938 la nazionale austriaca era una delle selezioni più forti del panorama calcistico mondiale. Il Wunderteam guidato da Matthias Sindelar era una della favorite per l’imminente Mondiale in Italia. Il problema è che a pochi mesi dall’inizio del torneo l’Austria fu annessa dalla Germania nazista. Quindi i calciatori austriaci avrebbero dovuto militare con la nuova selezione tedesca allargata.
In piena propaganda fu anche organizzata una “partita della riunificazione”. Naturalmente dal gigantesco sottotesto politico e propagandistico. Doveva essere una passerella nella quale, si dice, fu imposto agli austriaci di perdere. Vero o meno, il tabellino alla fine recitò: Austria 2 Germania 0. Ma il gesto che fece più rumore fu il rifiuto da parte di Sindelar e Sesta, autori dei due gol, di fare il saluto nazista al termine della partita di fronte ai gerarchi presenti.
Sindelar successivamente rifiutò anche la convocazione con la nazionale tedesca “allargata” per i Mondiali in Italia che sarebbero iniziati di lì a poco. La sua storia finì in modo tragico, con il calciatore che fu trovato morto a Vienna qualche mese dopo. La sua morte è ancora avvolta in circostanze misteriose.
Brasile-Zaire, un cartellino giallo che salvò la vita
Chiudiamo infine con un episodio che all’epoca dei fatti generò tanta ilarità, ma che successivamente si scoprì che c’era ben poco da ridere. La cornice è quella dei Mondiali del 1974, la partita vede di fronte il Brasile, nazionale tra le favorite per la vittoria del torneo e la cenerentola Zaire, il nome con cui all’epoca era conosciuta la Repubblica Democratica del Congo.
Nei minuti finali, sul 3-0 a favore il Brasile ha un calcio di punizione da posizione favorevole. Il calciatore africano Mwepu però, appena l’arbitro fischia e prima che Rivelino possa calciare, si stacca dalla barriera e va a colpire il pallone. Tra le risate dei brasiliani e degli spettatori un incredulo direttore di gara non può far altro che ammonire.
Bisognerà aspettare il 2002 per capire come quella partita per i calciatori dello Zaire non era una partita normale. La qualificazioni ai Mondiali era stata ampiamente usata a fini propagandistici dal dittatore Mobutu Sese Seko. Solo che lo Zaire non aveva i mezzi per competere con le big calcistiche dell’epoca. Dopo il primo ko contro la Scozia, un 2-0 tutto sommato accettabile, arriva il tracollo: 9-0 contro la Jugoslavia.
Dal governo dello Zaire arriva quindi la minaccia: se perdete con più di tre gol di scarto contro il Brasile non tornate a casa vivi. In campo quella giornata da un lato c’era una squadra che sognava di alzare la Coppa del Mondo, dall’altro una squadra che doveva salvarsi la pelle. Il gesto di Mwepu fu un misto di paura, rabbia, nervosismo e speranza. Per fortuna quell’ammonizione, a primo impatto così ridicola, fu la loro salvezza. Il Brasile non segnò il 4° gol e i calciatori dello Zaire portarono a casa la pelle.