VIDEO | A casa del San Lorenzo: tappa nello stadio e in “terra santa”

Giunti al quarto e penultimo episodio di “In casa delle grandi”, dopo la fermata Independiente, facciamo tappa al San Lorenzo de Almagro, club con una storia d’identità e appartenenza tanto forte quanto contrastata.

Essere del San Lorenzo in Argentina è un voto di fedeltà a una causa complessa e sofferta. Il club di Papa Francesco sorge nel cuore culturale di Buenos Aires, il quartiere di Boedo. Passarvi è quasi mistico. È come mettere i piedi in una piccola oasi di serenità e silenzio, ma perfettamente nel cuore di una delle capitali più trafficate e grandi dell’America Latina. Il barrio de Los Cuervos ha creato e diffuso la tradizione dei caffè letterari e del tango. Ancora oggi è possibile passarvi e assistere a spettacoli per strada o si può entrare nei vari circoli a respirarne l’atmosfera. In un clima di questo tipo nel 1908 il prete Lorenzo Massa fonda il club del San Lorenzo, il cui soprannome di “corvi” è in riferimento proprio la sottana del parroco. La sua idea era quella di togliere giovani ragazzi dalla strada. Probabilmente non poteva sospettare di aver dato vita al primo campione nazionale imbattuto. Era il 1969 con la squadra de “Los Matadores” in piena epoca d’oro, la quale durò fino al 1974.

Sabrina Uccello al Nuevo Gasometro del San Lorenzo
Nuevo Gasometro, Estadio San Lorenzo de Almagro

Informazioni che non è necessario raccogliere dai libri o internet, perché l’assoluta bellezza del San Lorenzo è che possiede un senso di appartenenza così radicato che in tutto il barrio di Boedo sono rappresentate scene di calcio e identità sui muri bianchi. Basta seguirne l’ordine cronologico per girare dentro e fuori il quartiere. Il San Lorenzo d’altronde ha dovuto aggrapparsi con le unghie e con i denti alla fedeltà dei suoi tifosi, dopo l’increscioso accadimento in piena dittatura. L’amministrazione politica abbattete quello che era noto come “El Gasometro” ma anche “El Wembley de Boedo” per la sua grandezza e splendore. Al posto dello stadio l’intenzione era quella di costruire una rete autostradale. Non ci furono mai i finanziamenti necessari, per cui il terreno fu ceduto ai francesi di Carrefour per farne un supermercato. Un colpo diritto al cuore del San Lorenzo, sopratutto se si considera che il campionato locale è una sfida tra quartieri di Buenos Aires piuttosto che fra città dell’Argentina. 

Infatti da quel momento Los Cuervos furono definiti come la squadra nomade, senza casa né barrio. Il San Lorenzo girovagò molto fino ad arrivare a Bajo Flores, a circa 5 km da casa, per trovare un impianto a disposizione. “El Nuevo Gasometro” da 48.000 posti a sedere contro gli oltre 70.000 dell’originario impianto di appartenenza. È cominciato così un esodo che dura ancora oggi e che potrebbe finire presto. Dopo anni di lotte giuridiche e sociali che i tifosi e i soci del club hanno portato avanti per tornare a casa, per tornare in “Terra Santa”.

San Lorenzo, l’identità e la sua difesa 

“Uno sempre cerca le proprie origini”, recita un murales su un vecchio edificio di Boedo e la firma del pensiero è di Osvaldo Soriano, giornalista e scrittore noto in tutto il mondo, altro tifoso illustre di cui gode La Gloriosa. Il suo volto appare sulle facciate di più case e in particolare di fronte a un muro in cui viene precisamente raffigurato il vecchio stadio del San Lorenzo. La ricerca delle radici è una costante. È il pensiero fisso che nemmeno le vittorie degli anni 2000 sono riuscite a offuscare. In particolare si ricorda quella con l’Ingegnere Pellegrini in panchina, che portò la squadra a rimontare 33 punti sul River in testa. Oppure l’insostituibile gioia della Copa Libertadores del 2014 con Edgardo Bauza in panchina. Ogni conquista il San Lorenzo l’ha portata in cascina con una squadra impeccabile e l’accompagnamento dei tifosi. Basti pensare che nel 1982 in occasione del match di Serie B contro il Tigre sugli spalti c’erano 75.000 spettatori. Un record assoluto per la categoria. Soltanto per la finale dei Mondiali del ’78 furono venduti più biglietti. Eppure, c’era sempre quel retrogusto amaro, che si può assaporare con dolore soltanto se si entra nella magia di Boedo e si visita poi l’impianto di Bajo Flores.

Ed è qui che, pur potendo proseguire con la narrativa dei trionfi, subentra la necessità di passare a quella umana. In questo viaggio che virtualmente abbiamo realizzato insieme, abbiamo apprezzato la gloria delle cinque grandi d’Argentina. Abbiamo compreso quanto il tifo sia una questione anche sociale oltre che un vincolo con il proprio quartiere d’origine. Ciò accade perché ogni barrio ha la sua storicità, la sua cultura, la sua motivazione per lottare e difendersi con gli altri e dagli altri. Allora quando arrivi a Bajo Flores capisci che il San Lorenzo è ospite di un luogo che non gli potrà mai appartenere. Un luogo al quale non potrà fare bene. Non c’è, infatti, trait d’union tra gli abitanti del posto e la squadra de Los Cuervos. 

Sabrina Uccello all'interno del Nuevo Gasometro
Estadio P. Bidegain, San Lorenzo de Almagro

Il dolore di Bajo Flores

Bajo Flores è un luogo che non appartiene all’immaginario comune. È una zona franca, in cui la vita striscia e sopravvive con immenso sforzo al dominio della criminalità, che ha preso possesso di un quartiere dimenticato dall’umanità. Lo stadio si trova di fronte a una delle più grandi “villa” della capitale. Comunemente nel gergo la definiremmo come favela. È così al di fuori del tessuto sociale e delle sue regole, che la Polizia presiede l’accesso ma a sua volta non può mettervi piede. La sensazione che mi dà è che la sua presenza in realtà non vigili, d’altronde è un’altra la legge di quel posto. Bensì delimiti i passi che uno “straniero” (e lo sono gli stessi cittadini della capitale) può dare all’interno di un mondo di immensa povertà e delinquenza. Le donne provano a non guardare e ai miei occhi sembra che non ne abbiamo nemmeno. Ricordo la sofferta arrendevolezza sui loro volti, mentre guardano i loro bambini crescere. Ricordo di averli spiati dai grandi finestrini che sono all’interno dello stadio. Una zona alla quale nessuno di loro osa avvicinarsi come un tacito patto di forzata convivenza.

L’epilogo del viaggio

 Il mio sguardo cerca di spostarsi il più lontano possibile sperando di scorgere la fine di un quartiere che mi sembra immenso. Non voglio ancora credere che il dolore umano si possa estendere così tanto. Quando finalmente scorgo un confine, mi accorgo che c’è una chiesa. È grande, le uniche mura bianca con una parvenza architettonica per tutta la villa, fatta per lo più di impalcature e mattoni sovrapposti. Tutt’intorno ci sono dei campi da calcio recintati e delle suore che spiegano ai ragazzini come suddividersi in squadre. Loro sembrano contenti. Riesco a notare che il calcio sia l’unica attività in quell’estensione di terreno a non richiedere di mettere a rischio la propria vita o di delinquere. I bambini sono quasi tutti scalzi. Nella mia mente ricordo vari giocatori che hanno cominciato in una condizione simile. Senza avere niente e con il grande stemma del San Lorenzo di fronte a delimitare la linea tra realtà e sogni. Mi chiedo se qualcuno di loro potrà un giorno dire di avercela fatta. Voglio convincermi di sì. Mi racconto una versione romantica della faccenda più straziante alla quale abbia mai assistito. Bajo Flores non è Boedo, il San Lorenzo non gli apparterrà mai. Tuttavia, la sua storia potrebbe cambiare quella di almeno uno di quei bambini. E allora sarà valsa la pena vagare tanti anni prima di tornare in Terra Santa.

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