Il trionfo di Parigi ribadisce che Ancelotti e il Real Madrid sono fatti l’uno per l’altro. I rimpianti di Napoli hanno poco senso
Quando Ancelotti è tornato al Madrid grazie a una telefonata improvvisa di Florentino Perez, i primi a storcere il naso furono alcuni madridisti. Le esperienze di Carletto a Napoli ed Everton non sono state esaltanti, e l’idea di affidare il progetto a un tecnico in un momento poco brillante della sua carriera sembrava un rischio. Non avevano messo in conto, o forse avevano dimenticato, che il “pacificador”, come lo definirono nel 2014, è l’uomo ideale per i blancos. Ancelotti e il Madrid sono fatti l’uno per l’altro.
Solo l’italiano ha il carisma, l’esperienza, la sensibilità e l’empatia per gestire uno degli spogliatoi più difficili e le pressioni più forti del mondo del calcio con quella serenità. Il Real è un’istituzione nelle mani di 93.920 soci, la cui storia è patrimonio dello sport, e non basta un bravissimo allenatore per tenerlo in alto. Serve qualcosa in più. L’ex milanista a volte dà la sensazione di vincere per quello che è, più che per quello che fa. Al Real Madrid accade spesso la stessa cosa. In Italia lo chiamano culo, in Spagna dna madridista, ma il risultato non cambia.
Dopo aver stravinto la Liga, Ancelotti ha portato a casa la Champions più straordinaria che si ricordi. Delle rimonte con PSG (proprio loro, dopo il mercato del 2021 e il caso Mbappé), Chelsea e City parleremo anche tra 50 anni, e la sofferta finale col Liverpool è stata la ciliegina. Il Madrid e Ancelotti hanno ribadito al mondo che la storia non si compra, sbattendo fuori dalla Champions i ricchi qatarioti e le migliori rappresentanti della vera Superlega, che è la Premier League. Carlo ha alzato al cielo di Parigi la sua quarta Coppa dei Campioni da allenatore, un record senza precedenti, e la sesta della sua vita. Definirlo vincente è riduttivo.
Vederlo trionfare per l’ennesima volta, a Napoli ha riaperto ancora il dibattito sull’esonero del 2019. Per molti, gli azzurri commisero un errore imperdonabile a lasciarsi scappare il tecnico più vincente di sempre. Per me, al contrario, l’errore lo commise proprio il mister.
Carletto è nato per vincere, il Napoli non vince quasi mai e nemmeno lo contempla. Quest’anno, per dirne una, nonostante la sua squadra sia stata per tre quarti di campionato in lotta per il titolo, Aurelio De Laurentiis ci ha tenuto a puntualizzare che lo scudetto non è mai stato un suo obiettivo, che a pensarci erano stati stampa e tifosi, colpevoli di “essersi ingolositi”.
Come poteva funzionare Carlo Ancelotti in un contesto del genere, con esigenze e difficoltà totalmente diverse rispetto a quelle vissute negli ultimi 20 anni? Scegliere il club azzurro dopo Juventus, Milan, Chelsea, PSG, Real Madrid e Bayern è stato un rischio che ha pagato con un esonero e un’avventura all’Everton, altro club non all’altezza della sua storia. L’intuizione di Florentino Perez ha rimesso al posto che gli compete un monumento del calcio mondiale, scrivendo nuove pagine della sua leggenda. Inutile rimpiangere ciò che non sarebbe mai dovuto accadere.
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