“La mia Argentina” è una rubrica di cinque settimane nella quale ripercorriamo insieme il mio viaggio nella terra di Diego Armando Maradona.
<< Ok, i documenti sono in ordine. Ma veniamo alla parte più importante: San Gennaro o Maradona? >>
<< San Gennaro è San Gennaro, ma Diego non si batte… >>
É stato questo il mio vero passaporto per entrare in Argentina: la scelta più ardua tra due figure che più che rappresentare Napoli, sono la sua stessa anima nonché il biglietto da visita della cultura partenopea nel mondo. Non è un caso che un santo e un calciatore straniero abbiano irrimediabilmente segnato la genesi di Napoli. Sacro e profano si mischiano perfettamente nell’ideale di ciascuno di noi e rendono un po’ più umano ma con una matice divina tutta la nostra vita.
Ecco l’Argentina: Buenos Aires ti apre le sue porte
Napoli potrebbe essere, da prima di Maradona e ancora di più dopo di lui, un qualsiasi ma meraviglioso barrio di Buenos Aires capitale. Appena ci arrivi, te ne rendi conto e riesci a respirare una frase fatta come se l’avesse per la prima volta pompata un tuo polmone. Poi, nel mio caso, la domanda alla dogana l’ha comprovata così come il compaesano che era in fila con me in attesa del bagaglio all’aeroporto di Ezeiza. Sua moglie è argentina: il matrimonio perfetto? E ci siamo parlati nella nostra lingua a mo’ di affermazione: “C’è casa anche qui”.
Buenos Aires ti aspetta, ti accoglie da qualsiasi posto del mondo tu provenga e ti dà il suo spazio sconfinato e la sua cultura libera. Se sei napoletano, invece, ti sembrerà di essere tornato: ci sei già stato qui, anche se non lo sai, anche se non fisicamente. I murales e le immagini che ricordano il calcio e quindi Maradona sembrano segnare la mappatura di questa concezione. Quando dimentichi che appartieni a questo posto in quanto cittadino di Napoli, c’è come un segnale che te lo ricorda. É rassicurante e forte, come il filo attorno a cui ho fatto il giro fino ad arrivare.
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C’è una maglia di Diego per me
Nel 2019 Diego Armando Maradona diventa l’allenatore del Gimnasia, uno dei due club più importanti di La Plata. I dirigenti sono miei amici e una di loro è di famiglia napoletana, emigrata in Argentina mezzo secolo fa. Scopriamo che proveniamo da due quartieri adiacenti ed è già incredibile così. Poi, ci promettiamo una cena: incredibilmente a Diego avrebbe fatto piacere conoscermi. Anche lui aveva bisogno ogni tanto della sua porzione di Napoli. Sfortunatamente, pochi mesi dopo il mondo si ferma per la pandemia da coronavirus e nel novembre del 2020 lo stesso fa il cuore del Pibe de Oro.
Non ho mai pensato all’incontro che non avrebbe potuto realizzarsi, perché è la parte meno rilevante delle emozioni che quel Pelusa avrebbe reso indelebili nella mia vita personale. Poter ascoltare i racconti di chi l’ha visto giocare, poterne ammirare le gesta in video e poter respirare una città che ancora pulsa al ritmo dei suoi palleggi è un’eredità più che sufficiente per ritenersi ricchi al di là del tempo. Tuttavia, sapevo che aveva firmato una maglia per me e in qualche modo quel tassello era mancante nel mio puzzle.
Quando ho potuto passare le dita sulla scritta autografata “Para Sabrina” non ci ho creduto. Mi sono fermata un istante per dare un pizzicotto alla mia coscienza affinché razionalizzasse quanto stava accadendo: io ero seduta sulla sedia di una terrazza a Buenos Aires e stavo ricevendo una maglia che Diego, sotto quello stesso cielo, aveva firmato per me. Troppo naturale, troppo etereo. Come lui.
Il valore inestimabile che ha per me questo ricordo si traduce facilmente in fatti: quando ho messo a punto la valigia per tornare in Italia, l’unico oggetto che ho messo nello zainetto da portare in cabina con me, è stata proprio quella maglia. Non dimenticherò mai la raccomandazione di mio padre e dei miei amici. É stato il pensiero di tutti. Com’è che diceva la reclame? “Il tesoro andava portato in salvo”.
Tutta la Napoli che c’è in Argentina
Tuttavia, sarebbe riduttivo giustificare il legame che esiste tra queste due culture riferendoci soltanto a Maradona. Lui ha enfatizzato ed evidenziato una connessione che già esisteva per un discorso sociale che va ben oltre. La maggior parte dei cittadini argentini ha radici italiane o spagnole, e quando diciamo italiane, parliamo spesso e volentieri del Sud del paese. Sono discendenti di coloro che circa mezzo secolo fa sono emigrati alla ricerca di un futuro migliore, portando con sé una tradizione che si è tramandata è mai persa.
Tanti luoghi sono Italia in questo mondo sconfinato e trafficato che Buenos Aires è, ma se davvero vuoi confermarlo, ti basta andare a un km scarso dall’Obelisco ed entrare nella Pizzeria Güerrín, nello stesso posto dal 1932. Puoi sedere e mangiare una pizza locale, ma se guardi in fondo puoi tornare a Napoli: c’è un “patio napolitano”, ovvero un lungo ingresso con una riproduzione dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Fili con panni stesi da un lato all’altro, una grande Madonna dipinta a mo’ di murales prima di entrare in una sala molto ampia dove c’è un sunto dell’anima partenopea. Una parete dedicata al Vesuvio, alcune delle icone artistiche della città come Sophia Loren, e un ambiente molto simile a una taverna nostrana. Poi un angolo dedicato all’immancabile sfogliatella, ai pomodori locali e a quelli imbottigliati, rigorosamente della ‘Strianese’. La pizzeria è stata definita come “Luogo d’interesse culturale” dal governo della città. Un luogo in cui entri e chiedi una porzione di Napoli, declinata nei sapori riprodotti quasi fedelmente.
Sei dall’altra parte dell’oceano, ma puoi valicare una porta per sentirti esattamente di fronte al golfo o nel centro storico di Napoli. Allora, molto retoricamente (mi tocca ammetterlo) mi è tornato in mente quel famoso adagio di Luciano De Crescenzo: “Dovunque sono andato nel mondo, mi sono accorto che c’era bisogno di un po’ di Napoli”. Ho capito, finalmente, che aveva ragione.
Alla prossima puntata!