La risoluzione UE sul merito sportivo e sullo sport inclusivo ha riacceso la guerra tra UEFA e SuperLega. Nessuna delle due sembra aver centrato il punto.
Recentemente ha fatto scalpore la risoluzione del Parlamento UE, proposta dal deputato ed ex calciatore polacco Tomasz Frankowski, la quale cerca di porre un freno ad alcune derive troppo “commerciali” del nostro calcio: SuperLega e Mondiale ogni due anni in primis.
Il tema centrale, dietro questa risoluzione approvata a larga maggioranza, è il preservare lo sport come inclusivo, meritocratico e basato su pari opportunità di accesso e competizione. Un bel proposito, soprattutto di fronte ad una deriva che, da almeno due decenni a questa parte, sta trasformando il calcio (e in misura minore tutto lo sport) in un qualcosa sempre più simile ad uno spettacolo commerciale e sempre meno ad una competizione sportiva.
Considerando che la più grande rivoluzione del calcio moderno, la Sentenza Bosman, è stata partorita all’interno dell’impianto UE, con la Corte di Giustizia che nel ‘94 pronunciò la storica sentenza che avrebbe cambiato il calciomercato mondiale, è naturale che anche questa risoluzione sia subito stata percepita come importante dagli addetti ai lavori.
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UEFA, davvero hanno “salvato il calcio”?
Il problema è che sembra che nessuna delle parti in causa abbia centrato il punto.
Dietro l’ossessivo ripetere la parola “inclusività”, il quale, assieme all’altro stra-abusato termine “resilienza”, è ormai diventato nel Mondo Occidentale il leit motiv per dire qualsiasi cosa e fare l’esatto opposto, si è scatenata una guerra tra i due grandi poteri che in questo momento si contendono (la carcassa?) del calcio europeo.
Da un lato il carrozzone UEFA, desideroso di mantenere intatte le sue rendite di posizione. Dall’altro il gruppetto della SuperLega, ansioso a sua volta di non affogare tra i debiti causati da una gestione miope e fuori controllo.
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L’UEFA naturalmente ha subito sfruttato tale risoluzione per ribadire il suo ruolo “a difesa” del calcio come lo conosciamo oggi. Tralasciando di dire naturalmente che buona parte dei problemi contestati dalla risoluzione sono dovuti proprio alla gestione UEFA.
Un calcio europeo che ha visto retrocedere decine di piazze storiche davanti all’avanzata di nuovi ricchi, un sistema che ha portato ad un’ipeinflazione dei prezzi di cartellini e ingaggi, un calciomercato ostaggio di relazioni, plusvalenze e procuratori. Sono tutte cose prosperate sotto l’egida UEFA!
Comodo prendere le parti dei tifosi che a Londra o Manchester protestavano e che, anche e soprattutto grazie all’intervento della politica britannica, hanno fatto naufragare (per il momento) la follia della SuperLega. Ipocrita farlo dopo che, per due decenni, hai sistematicamente sacrificato quel target per rincorrere disperatamente altri target di mercato, molto meno “tifosi” ma molto più acritici e alto-spendenti. E poi è esploso il giochino in mano.
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Il “capolavoro retorico” della SuperLega
Dall’altro lato pure la SuperLega, con un capolavoro retorico degno delle migliori multinazionali occidentali alle prese con il -washing di turno, ha fatto suo il concetto di “inclusività”. Col paradosso però di far passare una competizione “chiusa”, in cui la rendita di posizione è superiore al merito, come un qualcosa a difesa dei deboli.
D’altronde, da parte di chi ha messo su una guerra basandosi su indagini di mercato sul calcio fatte a tutti tranne che ai tifosi di calcio, non ci aspettavamo mica un maggiore senso della realtà. La strategia comunicativa della SuperLega appare però non priva di una certa logica di fondo: l’UEFA ha fatto disastri, noi possiamo mai fare peggio?
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Naturalmente la SuperLega non tiene conto dell’errore di base dietro al suo stesso esistere. Il Titanic del calcio sta andando dritto verso l’iceberg, su questo siamo concordi. Invece di invertire la rotta, la soluzione della SuperLega è il sequestro, da parte della prima classe, delle scialuppe di salvataggio. Poi magari avanza qualche wild-card, nome anglofono che sta per: “Se ci porti qualche milioncino, st’anno puoi fare il decimo a calcetto”.
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Altro problema, il Mondiale ogni due anni!
C’è infine un ultimo punto, persosi nella guerra santa UEFA-SuperLega, quello del Mondiali ogni due anni. La risoluzione UE parla anche del rischio che la massima competizione mondiale si possa giocare non più ogni quattro anni, ma ogni due. Con il conseguente ingolfamento dei calendari.
Anche qui il grido di allarme dei giocatori sulle troppe partite passa in secondo piano. D’altronde i calciatori, come i tifosi, mica sono un parere da tenere in conto per reggere il baraccone?
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Ebbene, questa situazione meriterebbe un editoriale a parte. Il massimo sogno per chiunque calci un pallone da ragazzino ridotto alla stregua di un gigantesco spot intramezzato da partite.
Con il grandissimo colpo al cuore, specchio di un calcio malato che discute di scialuppe mentre marcia spedito verso l’iceberg, di una scena in particolare. Il presidente FIFA che, nel giorno dedicato a Maradona, forse il calciatore che maggiormente ha rappresentato il sentimento ludico-sportivo-sociale contro la deriva commerciale, si prende palco e microfono per il promo sul mondiale ogni due anni.