eSports, l’ex player dell’Empoli: “Non siamo l’alternativa al calcio reale”

eSports e calcio, un connubio che in questi anni è in forte crescita. Anche se in Italia si va meno veloce rispetto ad altri paesi. Ne abbiamo parlato con l’ex pro-player di Empoli e Juve Stabia Cristian Esposito.

Roberto Carlos attaccante sinistro, la coppa d’attacco Minanda-Castolo, i tornei e le notti passate con il controller in mano per cercare di vincere l’ennesimo campionato o l’ennesima Champions League virtuale. Per molti, quasi tutti, i videogiochi di calcio sono sempre stato un grandissimo hobby. Per qualcun altro invece sono finiti per diventare un qualcosa in più.

Cristian Esposito, ragazzone napoletano classe ‘88, come lo si può ben capire dal suo nick Belvone88, ha fatto della sua passione per i videogame calcistici uno sport. Lui ci tiene a non definirlo “lavoro”, ma una semplice passione portata a livelli maggiori: quelli competitivi.

Prima a Castellammare e poi ad Empoli, rigorosamente su PES. Cristian ben presto si è fatto apprezzare nel circuito competitivo italiano. Ed è stato molto felice di farsi una chiacchierata con SerieANews riguardo questo mondo in rapida ascesa. Da qualche anno il mondo degli eSports calcistici raccoglie sempre più interesse. Sia da parte dei media, sia da parte delle stesse società calcistiche. Anche se po’ in ritardo e con forse un po’ troppa lentezza, ci spiega Cristian.

Possiamo definire gli eSports in Italia già in fase di maturazione o siamo ancora ai livelli di passione?

In Italia diciamo che si tratta ancora di passione. Soprattutto per quanto riguarda PES. Il videogioco di Konami non è molto seguito, specialmente dopo gli errori di quest’anno con eFootball. Con FIFA magari c’è un giro diverso, anche a livello di streaming. Ma chiariamo subito: non passerò mai a FIFA (ride, ndr).

In altri paesi però sembra che siamo molto più avanti. Attorno agli eSports, calcistici e non, gira un bel movimento. Secondo te perché invece l’Italia è ancora indietro?

Per far cresce un movimento c’è bisogno di tutto un contorno, non solo della partita in sé. Adesso forse stiamo andando un po’ avanti con gli streaming, con Twitch. Ma sono sempre aspetti che esulano dalla scena puramente competitiva. Io poi ho sempre giocato innanzitutto per divertimento.

Hai disegnato un quadro non proprio roseo, però sembra che ci siano comunque margini di crescita per il settore anche in Italia?

Certo, questo è fuori di dubbio. Però le cose devono essere fatte bene e con criterio. Non improvvisate.

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eSports
Un match di eSports a Torino (LaPresse)

Qualche “trucchetto” del mestiere che ci vuoi rivelare. Magari qualcuno stasera lo utilizzerà per battere un suo amico?

L’unico trucchetto è l’esperienza. Alla fine con la pratica arrivi a padroneggiare tutti gli aspetti di un gioco. Naturalmente ci sono alcune meccaniche più efficaci. Ad esempio, la finta di tiro nell’edizione 2021 era molto efficace e spesso faceva la differenza.

Tu sei del partito pro PES. Molti invece sono per FIFA: quali sono secondo te le maggiori differenze e perché FIFA ha molto successo nel mondo dello streaming?

PES, almeno fino alla scorsa stagione, è sempre stato un videogioco più ragionato. Io che sono in primis un malato di calcio ho sempre preferito una rappresentazione più simulativa della realtà. Su FIFA è tutto molto più legato alle skills del giocatore che controlli. Un giocatore veloce ti fa vincere la partita, un giocatore alto e impostato è invece difficile da padroneggiare. Ad esempio Petagna: su PES se lo sai usare ti può tornare utile, su FIFA meglio puntare su giocatori veloci e skillati. Diciamo che per questo FIFA si presta meglio sotto certi aspetti allo streaming. E’ veloce, imprevedibile, ti permette di fare cose che, francamente, sul terreno di gioco non possono mai verificarsi.

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Pareri sul disastro di Konami con eFootball, l’erede di PES?

Dico solo che una community intera sta male.

I fautori della SuperLega spesso hanno fatto rimando alle preferenze dei giovani per il calcio virtuale. Tu noti, anche per esperienza diretta, questa tendenza nei più giovani nel preferire la trasposizione videoludica del calcio piuttosto che il calcio nella sua forma originale?

Io forse non faccio testo: vado matto per il calcio “reale”. Seguo quasi tutte le partire. Forse il giovane vuole vedere le skills, vuole vedere in campo la squadra di campioni che può assemblare nel videogioco. Però è sempre un videogioco, è una cosa diversa dal calcio. Secondo me le due cose non sono in contrasto. Il calcio “reale” non è solo il campo, è passione e tifo. Tutto un contorno che lo rende speciale e attraente e che difficilmente puoi ricreare in un videogioco o dietro ad uno schermo. A mio avviso quelli della SuperLega hanno utilizzato la “scusa” dei videogiochi per mascherare semplici motivazioni economiche dietro al progetto.

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