Il razzismo negli stadi italiani, tra goliardia e problemi culturali: l’intervista in esclusiva a SerieAnews.com a Daniel Verdú de ‘El País’
Ad una settimana dai fatti del Franchi, l’Italia torna ad interrogarsi sulla questione razzismo. Soprattutto in giorni come questi, dove i nostri stadi hanno accolto Francia, Belgio e Spagna per la final-four di Nations League. Giorni di grande riflessione, in particolare per i colleghi esteri, che vivono da anni la realtà italiana, sia socialmente che sportivamente.
Una questione che Daniel Verdú ha affrontato nel suo editoriale per ‘El País’ e che ha approfondito nella sua intervista, in esclusiva a SerieAnews.com: “È un tema sempre difficile da trattare. Facendo il calco sulla realtà spagnola, anche in Liga si è avuto un problema simile a quello che si vive oggi in Italia. Per fortuna, però, le cose sono cambiate in Spagna: oltre che l’inasprirsi della disciplina, c’è stato soprattutto un progresso sociale. Chi fa il verso della scimmia non è più ben visto e chi gli sta affianco, non resta più in silenzio. Non è più tollerabile, ormai”.
Un qualcosa che, invece, nei nostri stadi resiste: “Lo scrivevo nel mio editoriale. Anche in campi definiti ‘non razzisti’, come quello della Lazio o della Roma (l’Olimpico, ndr), ho assistito ad un bambino fare il verso della scimmia verso un calciatore di colore. Ed il padre al suo fianco, anziché ammonirlo, rideva come se fosse una barzelletta. Mi ha colpito molto. È un problema sociale o legato al folklore dello stadio, credo. E invece, è sempre più strano ad assistere ad episodi del genere in Europa”.
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Verdú, dunque, c’entra il problema razzismo attorno al folklore o alla goliardia degli stadi italiani: “Sotto questi due fattori, si tende a confondere un po’ tutto. E sembra che sia permessa qualsiasi cosa pur di umiliare o indebolire gli avversari in campo. Se vogliamo, è qualcosa che magari capiterà anche tra i calciatori in campo, nel nome del ‘quello che si fa in campo, resta in campo’. Una cosa, però, è giocare con i nervi di chi affronti, un’altra è offenderlo con epiteti razzisti”.
La domanda, allora, sorge spontanea: all’estero, arriva il messaggio del nostro come un paese ed un calcio razzista? Verdú tratteggia un quadro meno scuro del previsto: “Purtroppo o per fortuna, non arriva un messaggio così forte. Soprattutto nei confronti di un calciatore, che non si preclude un passaggio in Serie A solo per episodi del genere. A meno che non sia un forte attivista contro il razzismo, come sempre più ne vediamo sorgere. Però, il problema in Italia è meno diffuso di quello che appare. Almeno per chi lo vede da fuori”.
Tuttavia, da inizio campionato, gli impianti italiani sono stati teatro già del terzo episodio di razzismo. E per combatterlo, Verdú non ha dubbi: “Ci sarebbe bisogno di un intervento penale per i trasgressori e, soprattutto, andrebbero chiusi gli stadi. Altrimenti, le autorità fanno passare un messaggio sbagliato su quello che sia consentito o meno nel Paese. Lo so che è un tema molto delicato e difficile. In particolare in Italia, dove dentro lo stadio ti trovi qualcuno che urla epiteti razzisti e fuori un altro che assalta la sede del principale sindacato italiano, e non succede niente. Nella mia opinione personale, occorrerebbe un messaggio molto più chiaro e duro, rispetto a quello che c’è adesso”.
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