Esordio in Europa League per il giovanissimo Ebrima Darboe con la Roma. La sua incredibile storia raccontata nel post partita.
Esordire in una competizione come l’Europa League a soli 19 anni non è poi cosi scontato. In Italia, soprattutto, dare fiducia a ragazzi cosi giovani pare sia un compito sempre molto complicato, e forse anche per questo il nostro calcio per anni ha sofferto ed è rimasto indietro rispetto ad altre realtà come Germania, Francia ed Inghilterra dove si punta tanto sui giovani, senza paura che questi possano deludere o magari non rispettare le aspettative di un calcio cosi esigente come quello europeo.
Da stasera anche la Roma ha un suo pupillo, gioiello che ha mostrato fin da subito grande personalità e che è riuscito a mettersi bene in mostra nonostante l’anno di nascita sia il 2001. Parliamo di Embrima Darboe, centrocampista nativo del Gambia che ha fatto proprio il suo esordio questa sera contro il Manchester United. Grande emozione ma soprattutto una storia incredibile, emersa proprio nel post partita.
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Roma, la meravigliosa storia di Darboe
Il giocatore gambiano si è presentato, cosi, nel post partita ai microfoni di Sky Sport. Grande padronanza della lingua italiana, ulteriore dimostrazione di personalità a soli 19 anni. “Una cosa indescrivibile. Ho tanta emozione, non so nemmeno come spiegarlo. Cosa ho pensato? Noi cerchiamo sempre di allenarci al massimo quando andiamo in prima squadra, quando stavo per entrare il mister mi ha detto ‘Sei troppo forte, gioca come fai in allenamento’. Ho cercato di aiutare la squadra”, le parole del giocatore giallorosso.
Poi il racconto del suoi percorso di crescita e l’inserimento in casa Roma. “Chi mi sta aiutando? Un po’ tutti. All’inizio c’era De Rossi che mi aiutava tanto, Kolarov. Adesso, in questo momento, tutti i compagni, anche se sono molto legato con Diawara“.
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L’arrivo in Italia, dall’Africa, e la sua incredibile storia. “Avevo questo sogno da piccolo, ma in Africa è un po’ difficile giocare nei grandi livelli se non hai aiuto. C’era un amico come mio fratello, che quando giocavo in Gambia mi diceva ‘sei troppo forte’. Se arrivi in Europa puoi giocare tra i professionisti, parla con i tuoi genitori. Loro mi hanno aiutato un po’, non era facile con i documenti. Sono fuggito con due miei amici. E’ stata dura, ringrazio Dio e l’Italia, quando sono arrivato mi hanno messo in una casa famiglia. Dopo un anno ho conosciuto uno scout, la Miriam Peruzzi. Da quando l’ho conosciuta mi ha cambiato la vita e mi ha fatto essere parte della loro famiglia. Ero piccolo, avevo bisogno di una famiglia. Mi sono sentito a casa, la Peruzzi Family”, le parole molto commoventi di questo ragazzo”.