“Il calcio si racconti con ironia”: come gli autori stanno cambiando lo storytelling dei giocatori

Aldo Augelli e Fabio Di Credico della Kassiopea Business Consulting, da tv e cinema alla media strategy per il calcio: “L’ironia e la realtà creano empatia”

La presenza sul palco dell’Ariston di Zlatan Ibrahimovic archiviata sabato sera ha riaperto il dibattito sul nuovo modo di raccontare (e raccontarsi) dei calciatori. Una rivoluzione iniziata con l’ormai ultradecennale avvento dei social network, ma che sta entrando (con colpevole ritardo in Italia) in un’altra fase.

Gli esempi virtuosi dall’estero, e soprattutto da oltreoceano, ci spingono a ripensare lo storytelling quotidiano degli sportivi, ai quali vanno affiancati non solo degli esperti di comunicazione, ma anche dei veri e propri autori. Esempio perfetto in questa direzione sono Aldo Augelli e Fabio Di Credico della Kassiopea Business Consulting, società che si occupa della media strategy di, tra gli altri, Paulo Dybala e Arkadiusz Milik, e che in passato ha lavorato con Alisson Becker. Entrambi vantano diverse esperienze nel mondo della tv e del cinema (sono autori del fortunato format tv ‘Emigratis’) e raccontano a SerieANews.com la loro formula per trasferire e adattare i linguaggi dello spettacolo allo sport.

Dal cinema e la tv, al calcio: qual è la strada nella quale mondi così distanti si incontrano

Fabio Di Credico: “Non c’è una grande distinzione tra i linguaggi che vogliamo creare in televisione e nello sport. Le cose che fanno ridere e piacciono, di solito, sono quelle che ti fanno esclamare ‘quanto è vero!’. Emigratis creava empatia così. Con i calciatori cerchiamo di trovare un meccanismo attraverso il quale mostrare ciò che sono, saltando il solito schema precostituito. L’ironia, di solito, rompe bene il ghiaccio”.

Aldo Augelli: “Ovviamente lo facciamo seguendo il carattere del personaggio in questione. Non possiamo di certo rendere troppo simpatico qualcuno che non lo è affatto, bisogna cucirgli il vestito addosso”.

Ecco, in questo senso la storia di Milik con De Laurentiis a San Valentino, di ghiaccio ne ha rotto parecchio.

Aldo Augelli: “L’effetto sorpresa è stato enorme, in molti credevano fosse un fake. Magari da un tipo come Arek non ti aspetti un’uscita del genere, e invece si è messo subito in gioco, l’idea gli è sembrata ironica e divertente, l’ha sposata. I feedback sono stati tutti positivi, davvero, sia dai tifosi che dagli addetti ai lavori”.

A proposito di feedback: i calciatori quanto sono attenti ai commenti che ricevono?

Aldo Augelli: “Consigliamo di leggere il meno possibile, perché in un modo o nell’altro alla fine si fanno condizionare. E anche se fingono di non fregarsene, poi leggono tutto. Nel caso di Milik, la situazione era doppiamente complessa perché il ragazzo non giocava, quindi non c’era modo di far ricredere chi lo criticava con qualche bella prestazione in campo. Era meglio intervenire il meno possibile e provare a lasciare un buon ricordo una volta andato via. Col video di addio a Napoli ci siamo riusciti: i tifosi lo hanno apprezzato e chi scriveva in maniera negativa veniva zittito”.

Fabio Di Credico: “Non si tratta, comunque, di ‘furbizie’. Il messaggio di Milik era sentito e voluto dal calciatore. Quando non è così, in realtà, poi si nota. E si fanno solo danni”.

Qual è l’errore tipico dei calciatori sui social?

Fabio Di Credico: “Essere vittima degli stereotipi, dare alla gente solo ciò che si vuole sentire dire. Guarda i social di tutti i calciatori: nel 90% dei casi sono tutti uguali”.

Aldo Augelli: “È un errore, però, anche l’eccesso opposto. Ci sono giocatori che mettono letteralmente la loro vita in pasto ai social, e si finisce per parlare di loro solo per aspetti extra-campo. Bisogna tenere a mente un concetto: non esiste una comunicazione ‘social’ e una strategica. La comunicazione è una sola e va gestita globalmente. Il problema dei giocatori è che, a volte, conducono in autonomia alcuni di questi aspetti, non rendendosi conto che sono parte integrante della loro vita professionale. Li sottovalutano, ma poi ne pagano le conseguenze”.

Fabio Di Credico: “In questo senso, ci sentiamo poco ‘social media manager’: in realtà siamo autori. Veniamo da un mondo in cui si creano contenuti e seguiamo quella strada. Ci sono tanti ‘guru’ che spiegano cosa, quando e come pubblicare sui social, ma la realtà è che, alla fine, ciò che funziona sono i contenuti. Se hai l’idea giusta, puoi pubblicarla anche a mezzanotte e senza un hashtag: la gente correrà a vederla”.

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La Instagram Stories di Arek Milik
La Instagram Stories di Arek Milik (Immagine tratta dal profilo Instagram dell’attaccante ex Napoli)

“Il calciomercato è un cortocircuito per la comunicazione”

Come si integrerà Clubhouse nell’ecosistema calciatori-social?

Aldo Augelli: “Ci spaventa un po’. Se il giocatore si trova su Clubhouse e inizia a parlare di tutto, rilasciando dichiarazioni su argomenti che magari non seguono la nostra strategia di comunicazione, può diventare un problema. Non penso che le squadre daranno ai giocatori l’ok per utilizzarlo liberamente”.

Qual è la situazione più complessa che vi siete trovati a gestire?

Fabio Di Credico: “Il calciomercato è un momento nel quale c’è un cortocircuito di comunicazione, probabilmente il peggiore. Bisogna cercare di parlare in modo molto generico, ma tutto viene interpretato come un segnale. Ogni passo può essere un passo falso”.

I famigerati ‘like’ o ‘segui’ dei calciatori ai club interessati al loro cartellino sono segnali indirizzati o sviste?

Aldo Augelli: “Credo 50 e 50. A volte sono voluti, a volte sono semplici errori. Per quanto ci riguarda, è meglio evitare questi indizi”.

Come si “educa” il giocatore a evitare questi scivoloni?

Fabio Di Credico: “È un’evangelizzazione, un lavoro quotidiano. Può succedere che, per distrazione, un calciatore voglia pubblicare un panorama o un dettaglio simpatico di casa sua, magari il giorno prima di una partita o un evento importante. Bisogna prevedere le reazioni e cercare di evitare i passi falsi…”.

Aldo Augelli: “Dybala e Alisson Becker sono l’esempio di come la comunicazione sia un elemento fondamentale per far crescere la credibilità del calciatore, dentro e fuori dal campo. E, per raggiungerla, si possono battere diverse strade. Abbiamo scritto, prodotto e girato uno spot per DAZN con Chiellini, Pastore e Adriano. Quello è un case story perfetto per dimostrare come il lavoro degli autori possa essere un valore aggiunto anche per i calciatori e per le stesse società sportive. Una cultura diffusa in America: per arrivare a un prodotto come ‘The Last Dance’ ci vogliono decenni, ma la strada è quella”.

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“Ibra a Sanremo, un’occasione persa”

Era uno spot con un’enorme dose di ironia, quella che stanno usando diversi club stranieri sui social. E che forse può essere la strada migliore per riavvicinarsi ai più giovani.

Fabio Di Credico: “Hai ragione, ma il problema è che andrebbero educati anche i tifosi, che in alcuni casi sono la categoria più conservatrice del mondo. La maglia è un elemento “divino”, bisogna farci attenzione, e va evitato l’eccesso opposto. Quando prendi tutto perennemente a ridere, alla lunga stanchi”.

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Qualche esempio virtuoso?

Aldo Augelli: “Ci è sempre piaciuto il modo di approcciare il calcio e i social del Papu Gomez. Ha funzionato alla perfezione fino ai problemi con club e allenatore, che finiscono sempre per spaccare la piazza, anche se sei un capitano apprezzato e ammirato come lui. Come società, credo che l’esempio da seguire sia il Bayern Monaco”.

Fabio Di Credico: “Anche il Liverpool, ma in generale diversi club di Premier, fanno un grande lavoro. Realizzano contenuti ogni giorno, mostrano gli allenamenti in tempo reale di ogni singolo giocatore. In Italia siamo molto pachidermici, sono pochissime le squadre virtuose da questo punto di vista. Di strada da fare ce n’è ancora tanta”.

Per chiudere, una battuta a testa su Ibra a Sanremo. Commistione perfetta tra sport e spettacolo.

Aldo Augelli: “Certi palchi sono importanti e rappresentano oltre che una vetrina, una responsabilità sociale. L’utilizzo e la scelta di un calciatore della potenza mediatica di Ibrahimovic tutto sommato è stata un’occasione persa, perché si è preferito evidenziare il solito trito cliché del Dio calciatore. Stessa gag ripetuta all’infinito. Mi è piaciuta l’esperienza accanto a Donato Grande ma è stata una eccezione ad una regola. La presenza di Ibra è stato un inno allo stereotipo che noi combattiamo da anni”.

Fabio Di Credico: “Il Festival di Sanremo e un po’ un simbolo iconico di questa nazione. Ibrahimovic è un esempio per tanti ragazzini, potrebbe essere un’icona positiva semplicemente per come dimostra a 40 anni di essere decisivo in Serie A. Da anni invece si è costruito un personaggio antipatico, il Dio Zlatan che può tutto. Ecco, gli autori di Sanremo avevano l’occasione di fare quel passo in più e stravolgere questo cliché spiazzandoci. Lo dimostra il fatto che i momenti “migliori” siano stati quelli più lontani da lui: il viaggio in moto, il calcio al pallone con Donato Grande. Quindi l’idea di contattare “Zlatan” era giusta, ma sul palco io volevo vedere Ibrahimovic”.

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