Eugenio Albarella è un preparatore atletico che lavora da tempo al fianco di Zaccheroni, anche nelle avventure nella Nazionale del Giappone o degli Emirati Arabi.
È una stagione molto particolare, si gioca ogni tre giorni, senza il pubblico e combattendo il rischio dei contagi al Covid-19, la analizziamo con Eugenio Albarella, con un focus specifico sulle difficoltà del Napoli. Gli azzurri, dopo le due sconfitte consecutive contro il Genoa in campionato e l’Atalanta in semifinale di Coppa Italia, hanno reagito con il successo sofferto contro la Juventus.
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Sembra esserci uno scollamento tra il mondo degli addetti ai lavori e l’esterno, come se non si riuscissero a percepire le difficoltà di questa stagione. Perché secondo lei?
“Perché si fanno continuamente paragoni e riferimenti tra quest’annus horribilis e le stagioni classiche. Si tratta di un’annata completamente diversa, è impossibile aspettarsi il bel gioco da parte delle grandi che giocano tre partite a settimana. L’obiettivo è trascinarsi nella migliore condizione possibile fino ad aprile e poi giocarsi tutto. Non dimentichiamo l’assenza del pubblico che stravolge completamente la componente ambientale.
Seguo per lavoro dieci partite a settimana e nel periodo recente mi sono goduto soltanto Liverpool-Manchester City. La continuità nei risultati e nelle prestazioni è un’impresa titanica, finora nei cinque principali campionati europei ci riescono soltanto l’Atletico Madrid e il Manchester City perché esprimono percorsi lunghi compiuti dagli allenatori in panchina. Il Cholo Simeone è da dieci anni la guida tecnica dei colchoneros, Guardiola è da cinque anni al Manchester City”
Non ci riesce neanche il Liverpool ad avere continuità. Come se lo spiega?
“Dopo aver vinto Premier dopo trent’anni e la Champions League, ci sta che gli stimoli non siano più gli stessi, poi va considerato l’infortunio di un uomo-chiave come Van Dijk e soprattutto l’assenza del pubblico di Anfield che è un fattore determinante per una squadra ad avere una grande empatia con la tifoseria”
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Nei cinque principali campionati europei vediamo tanti risultati a sorpresa, per le big è dura ogni partita. Perché secondo lei?
“Perché le piccole hanno la settimana tipo, anche un giorno in più incide in questi ritmi così serrati dove la preparazione alla partita è completamente cambiata. L’organizzazione ottenuta con un lavoro d’addestramento molto più corposo, il divario in termini di brillantezza atletica possono pareggiare la distanza tecnica tra una big e una squadra di fascia medio-piccola. Innanzitutto c’è il rischio costante che i contagi stravolgano tutto, basta pensare al Napoli che perde Koulibaly alla vigilia della partita contro il Genoa.
C’è poi anche l’aspetto nervoso, le piccole hanno più spensieratezza nell’approccio alla gara. È accaduto in tutti i campionati, anche in Premier League, basta ricordare la vittoria dello Sheffield United all’Old Trafford oppure seguire il campionato del Newcastle.
Per le grandi questa stagione è una rincorsa, i match-analyst analizzano due avversari alla volta. Si lavora in apnea, bisogna saper leggere i momenti, guardate cosa ha fatto la Juventus con la coppia Bonucci-Chiellini accettando anche d’abbassare il baricentro”
Segue tanto il Napoli, che idea si è fatto sulla mancanza di continuità della squadra di Gattuso?
“Mi piange il cuore a causa di un ambiente masochista che alle prime difficoltà ha subito individuato il capro espiatorio piuttosto che fare un’analisi seria della situazione. Ciò accade anche perché c’è una mancanza strutturale, il Napoli non ha i Nedved, i Maldini, il calcio va fatto dagli uomini che conoscono le dinamiche di uno spogliatoio.
Gattuso è un allenatore “work in progress”, si sta formando, anche Lippi, nell’anno di Napoli, non era quello che ha vinto il Mondiale.
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Analizziamo a freddo il lavoro di Gattuso: arriva a dicembre 2019 e trova le macerie, una squadra mentalmente devastata dopo l’ammutinamento. Gioca sempre ogni tre giorni, anche a gennaio e febbraio, poi il lockdown fino a metà giugno, di nuovo il calendario ingolfato fino alla partita di Barcellona dell’8 agosto. Il ritiro è soltanto di due settimane, pochissime le amichevoli e poi a seconda dei periodi ha oscillato di media con partite ogni 2.7 giorni, 3 o 3.3 giorni.
In questo contesto, soprattutto per le gravi assenze di Osimhen, Mertens e ora Manolas e Koulibaly che ha dovuto fronteggiare, è emerso il limite di una squadra con poca personalità, dove non ci sono dei leader che possono aiutare gli altri a vivere con meno ansia le difficoltà.
In quest’annus horribilis conta l’efficacia: basta confrontare la percentuale realizzativa di Ibrahimovic e Cristiano Ronaldo al Milan e alla Juventus con quanto è accaduto al Napoli contro Inter, Spezia e Genoa.
Ci sono poi dei problemi di costruzione dell’organico, paradossalmente a centrocampo giocare a tre è una forzatura. Faccio l’esempio di Lobotka che non giocava al Celta Vigo, l’ho sempre considerato una mezzala, non capisco perché lo consideravano un metodista davanti alla difesa, l’ho affrontato anche in amichevole in Nazionale con gli Emirati Arabi”
All’andata nella semifinale di Coppa Italia contro l’Atalanta Gattuso è passato al 3-4-3. Che idea si è fatto su quella scelta?
“Ha seguito un’idea per limitare l’Atalanta, aveva già adottato questo sistema di gioco per proteggere il risultato contro il Parma. Era inevitabile che non tutti i meccanismi funzionassero alla perfezione, l’aveva provato per un solo giorno. Con il 3-4-3 abbiamo vinto uno scudetto al Milan nel 1998-99, vi racconto com’è andata per far capire quanto è complicato cambiare le abitudini di una squadra”.
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Prego…
“Il Milan era reduce dal decimo e dall’undicesimo posto con Sacchi e Capello, era una squadra ormai alla frutta. Dovevamo ridurre gli spazi, togliere il campo aperto agli avversari. Vennero Costacurta, Maldini e Albertini da noi a dirci che loro avevano sempre giocato con un sistema di gioco che prevedeva la difesa a quattro ma che il mister aveva 40 giorni di tempo per convincerli.
Ci chiudemmo a Milanello per più di un mese, con un’amichevole giocata a Solbiate Arno ad otto chilometri di distanza. Il risultato fu che Costacurta comandava benissimo la difesa, per Maldini si è allungata la carriera, e Leonardo-Bierhoff-Weah in attacco realizzarono cinquanta gol”
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