Diego Armando Maradona, “l’amore che sentiamo per il calcio fatto persona”, è tornato nel suo lontano pianeta. Ora sappiamo qual è
Avevo in mente diverse idee per il primo editoriale da scrivere su SerieANews.com, ma disgraziatamente non ne ricordo più neanche una. Maradona ha deciso di ri-sconvolgerci le vite nel pomeriggio di un mercoledì di Champions, ed ora è impossibile pensare ad altro. Per chi è nato a Napoli dopo il 1984, Diego è uno di famiglia. Non ricordi quando hai saputo della sua esistenza perchè ha sempre fatto parte di casa tua. E anche se non l’hai mai visto, l’hai sempre sentito.
Poche ore dopo la sua morte in milioni sarebbero scesi in piazza per rendergli omaggio, eppure il ‘Pelusa’ se n’è andato da solo. Al suo fianco, nelle sue ultime 12 ore di vita, non c’era nessuno. Un’assurdità, visto che era stato operato al cervello appena 21 giorni prima, ma l’assurdo ha accompagnato la sua esistenza sin da quando, da piccolo, scoprì la pelota. Smise di essere Diego a 16 anni e fece subito i conti col peso di essere leggenda. La sua schiena non l’ha mai retto e per lenire il dolore sappiamo dove trovò rifugio.
Chi non riesce ad avere pietà di lui nemmeno adesso che ci ha lasciato, rispolvera la stessa litania: “Diego è stato un cattivo esempio”. Affermarlo, per me, vuol dire vedere il mondo al contrario. Maradona ci ha mostrato sulla sua pelle quanto la droga possa devastarti l’anima anche se sei il migliore di ogni tempo in quello che fai.
È stato lui stesso ad ammetterlo, prima o dopo l’ennesima ricaduta. Lo ha fatto chiedendo scusa decine di volte alla sua famiglia, a chi ha fatto soffrire, ai suoi tifosi e a sé stesso, perché nessuno saprà mai fin dove sarebbe arrivato il suo genio senza la cocaina. Quanti potenti del mondo avete sentito chiedere perdono? E quanti personaggi pubblici, purtroppo, patiscono e hanno patito la stessa dipendenza senza essere massacrati?
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Diego, il gigante che sapeva chiedere scusa
Maradona ha riconosciuto pubblicamente le sue debolezze, il suo essere estremamente umano. Un’umanità che lo ha spinto, da sempre, a mettere la sua forza al servizio dei più deboli e a prendere a schiaffi il potere quando necessario. Il tempo gli ha dato spesso ragione.
Quando a Micheal Jordan chiesero di sostenere il candidato senatore Harvey Gantt, democratico e afroamericano, ‘His Airness’, secondo il giornalista Sam Smith, preferì pensare ai suoi affari con la Nike: “Anche i repubblicani comprano scarpe”. Ecco, prendete questo modo di pensare e rovesciatelo totalmente: ritroverete Diego.
L’amore per Maradona nasce anche dalla sua vocazione da capopopolo. I suoi dribbling e i suoi gol erano costanti sberleffi ai potenti. Non sono in grado di definire il suo talento senza sentirmi banale. Preferisco, quindi, rubare qualche frase a Eduardo Galeano: “Maradona è incontrollabile quando parla, ma ancor più quando gioca. Nessuno può prevedere le diavolerie di quest’inventore di sorprese, che non si ripete mai e si diverte a sconcertare i computer. Nel frigido calcio di oggi, che esige di vincere e proibisce godere, quest’uomo è tra i pochi a dimostrare che anche la fantasia può essere efficace”.
Sul campo, nessuno gli si potrà mai avvicinare. Mi auguro che il tempo dei paragoni sia finalmente concluso ora che Diego è tornato nel suo pianeta, quello che Víctor Hugo Morales invocava in lacrime istanti dopo aver visto, a Città del Messico, il più bel gol di ogni tempo.
Il giornalista uruguaiano, 34 anni fa, si chiedeva quale fosse, quel pianeta. Ce lo ha svelato giovedì, nel giorno dell’addio: “Scegliamo una stella, stanotte: sarà quella di Maradona per sempre. Salutiamolo, ma non con l’emozione che ci spezza il cuore. Ricordiamolo vivo come i suoi canti, i suoi balli, la sua audacia. Diego, sarai il sole che illuminerà il calcio, le nostre chiacchierate, i nostri pranzi, il nostro amore per questo gioco, che hai coltivato come nessuno. Sei il più grande, sei l’amore che sentiamo per il calcio fatto persona. Per questo, come tu stesso dicesti, tu resti qui”.
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