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Inter, Eriksen profeta (solo) in patria. Quattro motivi per l’addio

Eriksen fatica ad ambientarsi nel calcio italiano: dopo quasi un anno il bilancio con l’Inter è fallimentare di quello con la Danimarca.

Christian Eriksen ha capovolto il mondo dei luoghi comuni. Nessuno è profeta in patria? No, perché il talento scandinavo a casa propria è un re indiscusso. C’è del marcio in Danimarca? Nemmeno, perché quando il “10” di Middlefart indossa la maglia della propria Nazionale si trasforma.

Gol a raffica, giocate di qualità e carisma a tonnellate. La “stecca” contro il Belgio – troppa roba di qualità tutta insieme per la squadra di Hjulmand, comunque reduce da quattro successi consecutivi (tra le illustri vittime anche l’Inghilterra) – fa parte del percorso di crescita di un gruppo Eriksencentrico.

Ogni respiro danese passa dal biondino di ghiaccio. Il volto da campione mostrato tra le mura amiche è solo la prima faccia della medaglia. L’altra, quella ingrigita quando la casacca si tinge di nerazzurro, è di segno completamente opposto. Alle dipendenze dell’Inter Eriksen è un altro giocatore, si trasforma da fine artista della pedata a giocatore dedito esclusivamente il compitino.

La furia agonistica mostrata in Nazionale si traduce in timidezza da fanciullo con la squadra guidata da Antonio Conte. I motivi? Ce ne sono almeno quattro che spiegano l’involuzione del ventottenne danese quando si confronta con il calcio italiano.

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Eriksen e Lukaku (Getty Images)

I quattro motivi che spingono Eriksen lontano dall’Inter

Non è facile vivere alla corte del sergente Conte. E il 10 dell’Inter lo ha capito in fretta, sin da quando lo scorso anno ha messo piede ad Appiano Gentile. Per il tecnico pugliese la classe è una qualità da apprezzare solo quando è abbinata a corsa e spirito di sacrificio. E così anche sua maestà Lukaku, all’occorrenza, si trasforma nel primo dei maratoneti, così come l’estro irriverente di Lautaro Martinez si trasforma in garra, quando c’è bisogno. Eriksen, a questi ritmi, non si trova a proprio agio.

E se anche il calciatore danese decidesse di cambiare passo, cozzerebbe con un altro dato incontrovertibile: il 3-5-2. Conte difficilmente, da quando ha preso in mano l’Inter, si è discostato dallo schieramento-base. E per un trequartista diventa difficile trovare collocazione quando la necessità è garantirsi dei centrocampisti “assaltatori” piuttosto che rifinitori alle spalle delle punte. Da mezzala? Sarebbe davvero chiedergli troppo.

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Eriksen (Getty Images)

Calciomercato Inter, Eriksen punta al PSG

La spirale della negatività si è attivata da tempo. Che in Italia sarebbe stata dura, Eriksen lo aveva intuito sin dal suo approdo meneghino, ma nelle prime gare mostrava comunque un calcio più sciolto rispetto all’attualità. La traversa timbrata da posizione proibitiva nel derby vinto in rimonta dall’Inter nella passata stagione ancora trema, tanto da far subito accostare il biondino danese a quello olandese, Wesley Snejider, che fece le fortune di Mourinho e soci.

Ma le similitudini con il “10” orange si fermano proprio al legno incocciato nella stracittadina. Oggi, nel poco tempo a disposizione concesso a Eriksen, non c’è spazio per esaltarsi. Più facile vedergli fare passaggetti all’indietro di alleggerimento, manco fosse l’ultimo dei Medel.

Sin dall’estate, tanto per chiudere il cerchio disastroso, si è aggiunto un fattore in grado di sparigliare le carte come pochi: le voci su un possibile addio. L’Inter ha contenuto il chiacchiericcio durante la sessione “tardo-estiva”, ma l’impressione è che gli argini, con l’approssimarsi del mercato invernale, possano rompersi da un momento all’altro.

Non a caso ai nerazzurri viene accostato con insistenza il nome di Leonardo Paredes del Psg, elemento che nel 3-5-2 di Conte si troverebbe a proprio agio e libererebbe il potenziale offensivo di Vidal da “falso trequartista”. Eriksen, da mesi, ha già captato il dato chiave: per l’Inter è sacrificabile.

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Scritto da
Danilo Perri

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