Si tratta di una delle firme più autorevoli del giornalismo calcistico, e sportivo, italiano. Roberto Beccantini è una penna storica del nostro calcio e, nella sua carriera, ha lavorato nelle redazioni de La Stampa, Tuttosport e La Gazzetta dello Sport. Con il suo stile di scrittura unico e inconfondibile commenta ora sulle pagine di Eurosport (e del suo blog www.beckisback.it) le vicissitudini calcistiche italiane e internazionali.
Ci ha gentilmente concesso un’intervista e, in esclusiva, ci ha detto la sua sui temi scottanti dell’attualità calcistica.
Partiamo con il tema forte delle ultime settimane. Il pragmatismo di Allegri o la filosofia di Adani, lei da che parte sta?
Con Adani, al di là delle ragioni e/o dei torti. Chi si ritira, ha sempre torto. E Allegri si ritirò. Se vogliamo risalire al nocciolo della questione, Adani sembra felice di aver inventato il calcio; Allegri, viceversa, sembra felice di essere stato inventato dal calcio, salvo quando va a discutere l’ingaggio con Agnelli (sette milioni e mezzo netti di euro a stagione), Contenti loro…
L’Ajax ci ha insegnato, o ricordato, che un certo tipo di calcio può essere praticato. Forse però l’Italia non è terreno fertile per applicare le idee olandesi…
Ci riuscì il Milan di Sacchi. Con tre olandesi, appunto. Noi siamo più tattici, più materialisti. Se e quando sogniamo, ci piace farlo a occhi aperti. Diamo troppa importanza agli allenatori e troppo poca ai giocatori.
Ultimamente il mondo del calcio, almeno quello nostrano, sembra essersi spaccato in due fazioni. Lei è più «prestazionista» o «risultatista»?
Per alzata di mano, siamo tutti prestazionisti. Ma in cabina, a tendina tirata e matita in mano, non saprei: mi vengono molti dubbi. Personalmente, sono stato risultatista da ragazzo e oggi, a 68 anni, mi sento “più” prestazionista.
Farebbe bene Allegri a continuare alla Juventus? Non si è creato un clima troppo teso attorno all’allenatore bianconero?
Trovo eccessive le critiche, ma di sicuro Allegri ha dato l’impressione che, con quella rosa, avrebbe potuto fare meglio. Non dico di più: dico meglio. Come gioco. Per non parlare del crollo di primavera. Assoluto, verticale, inaudito, tra infortuni e brillantezza di manovra. Di solito, la sua Juventus arrivava pimpante al traguardo – e in due anni, addirittura in lizza per tutti i trofei (scudetto, Champions, Coppa Italia). Questa volta, invece, ha smesso di giocare a Natale. Nel 2019, non ricordo che una grande partita: il ritorno con l’Atletico. Gli avanzi sono stati sufficienti per rivincere in Italia, non per ribellarsi al secondo tempo dell’Ajax. Ribadito che i risultati di Allegri restano egregi, in patria e fuori, dopo cinque anni lo ringrazierei e proverei a cambiare. Per un Guardiola, per un Gasperini. Per un taglio netto, solo per questo. Per nessun altro tipo di compromesso.
Con tutto il rispetto e tutta la stima che nutro per Conte e Sarri, di giocatori (più) grandi.
Cosa ne pensa della rinascita della Roma? Quanto poteva essere colpa di Di Francesco della situazione che era andata a crearsi?
Di rinascita non parlerei proprio. Al massimo, di normalizzazione. Quella Roma, in quel preciso scorcio della stagione, avrebbe avuto bisogno di una società più forte e più presente. E’ questo che ha pagato Di Francesco, al di là di alcune scelte confuse. Ranieri era e rimane il miglior carro attrezzi reperibile su piazza.
Per la lotta alla Champions chi vede favorita?
A questo punto, dopo l’ennesimo suicidio delle romane, vedo favorite Inter e Atalanta.
Possiamo considerare l’Atalanta, con le dovute proporzioni, il Leicester italiano?Come classifica, sì. Come timbro e come gioco, l’Ajax.
Chiudiamo col Napoli. Stagione strana quella degli azzurri, mai in lotta per il titolo potevano dare qualcosa in più in Europa? Come considera il ritorno di Ancelotti in Italia?
Sinceramente: non un gran ritorno. Scudetto perso a marzo, fuori ai quarti di Coppa Italia, fuori ai quarti di Europa League. Salvo il girone di Champions, solo quello.
Alessandro Creta
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