Il numero uno degli arbitri italiani Gianluca Rocchi in una lunga intervista al quotidiano “La Repubblica” ha parlato dello stato degli arbitri italiani, della situazione dei direttori di gara internazionali, della sua lunga carriera e soprattutto del corretto uso del VAR. Vediamo cosa ha detto.
LE PAROLE DI ROCCHI
Rocchi agli arbitri piace il Var? “Ho fatto quattro derby di Roma col cappio al collo, stavo tre notti sveglio: prima durante e dopo. Gli ultimi due invece, col Var, me li sono goduti. Non c’è arbitro che possa essere contrario”.
Qual’è L’approccio degli arbitri al Var? “Io non cambio l’approccio, cerco di non usare la tecnologia, di non averne bisogno. Di recente ci sono riuscito. Ma so che se devo usarla, mi ripara un errore. È un vantaggio, se lo vedi come un muro lo userai sempre male. Il vero problema è la linea di intervento. Su questo, tutti ci lasciamo le penne: a volte sei troppo interventista, altre troppo poco. Da Var puoi creare una tensione all’arbitro o puoi levargliela. Ma nella cabina sei solo, con un assistente, ed è difficile capire il momento. Nei raduni ci diciamo sempre che il Var non deve essere amico dell’arbitro. Se gli vuoi bene rischi inconsciamente di non volergli far fare una figuraccia e non correggi un errore che potrebbe salvargli la partita. Ma il Var non è la moviola: deve riparare il chiaro errore, non infilarsi in situazioni discutibili”.
SCINDERE ARBITRI E VAR
Se un arbitro è bravo, perché è bravo a usare la tecnologia“Dopo aver deciso devi aprire la mente e dire subito: avrò mica sbagliato? Sennò magari rischi di convincere il tuo collega al Var che hai ragione tu e lo porti in errore o gli togli la forza di intervenire. Poi, devi essere bravo a richiudere la mente senza farti condizionare dall’aver visto male”. Proprio per questi motivi, Rocchi insiste sulla scissione delle carriere, come avvenuto ai Mondiali in Russia: “È stata la chiave della kermesse iridata. Il Var faceva solo quello, ha funzionato bene”. Il famoso cambio di protocollo: “In realtà, l’inserimento del termine “evidente” alla dicitura “chiaro errore” è solo per rafforzare il concetto. Non è cambiato nulla. Ma ciò che per me può non essere chiaro errore magari per l’allenatore o il tifoso lo è perché gli cambia la partita. È la soggettività. Faccio un esempio: il regolamento oggi parla di volontarietà e io devo seguire quello. Ma se lo stesso intervento per me è volontario e per un mio collega no, chi ha ragione? Tutti e due, o nessuno. Così chi vuol far polemica ci si inserisce facilmente”.